Non è sicuro il giorno di nascita del pittore e architetto italiano Raffaello Sanzio, chiamato anche Raffaello Santi (1483-1520), che potrebbe essere il 28 marzo oppure il 6 aprile; ma è sicuro il giorno della morte, il 6 aprile; quindi, comunque si risolva la questione della nascita, il 6 aprile è sempre una data da ricordare a proposito dell’artista.
Rinvio alle pagine di Wikipedia per i dati biografici:
it.wikipedia.org/wiki/Raffaello_Sanzio
eo.wikipedia.org/wiki/Rafaelo
Ho accennato ad una delle sue numerose opere di pittura (“L’incendio di Borgo”) il 20 giugno 2017:
e non mancherà occasione di parlare ancora di esse, così come delle sue opere di architettura; oggi mi limito a presentare un aspetto poco conosciuto della sua personalità: Raffaello era anche poeta.
Trascrivo un suo sonetto, in italiano (arcaico, e non facilmente comprensibile oggi) e nella doppia versione in Esperanto di Kálmán Kalocsay, la prima del 1922, la seconda del 1931 (riprodotta nel 1981). Come spesso accade con Kalocsay (che amava molto tornare sulle proprie scelte), la seconda versione è modificata rispetto alla prima (in pratica, è stata riscritta la prima quartina, cambiando le parole, il loro ordine e le rime).
Una curiosità: per scrivere questo sonetto (ed altri cinque), Raffaello riutilizzò le carte degli studi preparatori per l’affresco della “Disputa del Sacramento” nei Palazzi Vaticani
it.wikipedia.org/wiki/Disputa_del_Sacramento
eo.wikipedia.org/wiki/Disputo_pri_la_Sankta_Sakramento
Allego:
– l’immagine dell’affresco “La Disputa del Sacramento”; sulla cartolina è stato applicato, nel giorno di emissione, il francobollo italiano del 1974 con l’autoritratto di Raffaello, da un dipinto conservato a Firenze alla Galleria degli Uffizi;
– un particolare della faccia anteriore della vecchia banconota italiana da 500.000 lire, con (tra l’altro) il medesimo autoritratto di Raffaello. Pochi italiani hanno visto questa banconota, ed ancor meno ne hanno posseduta una, perché all’epoca in cui fu emessa (1997) 500.000 lire erano una somma considerevole: nominalmente, equivarrebbero oggi a circa 250 euro, ma il loro potere d’acquisto nel 1997 era molto superiore a quello degli attuali 250 euro (il cosiddetto “assegno sociale” statale, per gli anziani sprovvisti di reddito, era nel 1997 di 391.000 lire al mese, pari nominalmente oggi a 200 euro, che all’epoca erano ritenuti sufficienti per sopravvivere; nel 2018, quello stesso assegno è di 407 euro). Nessuno accettava in pagamento quella banconota da 500.000 lire, per la difficoltà di cambiarla poi in banconote di taglio inferiore, e per la scarsa conoscenza della banconota stessa; in pratica, essa circolava soltanto per trasferire ingenti somme più o meno illegalmente, con poco ingombro e senza lasciare traccia.
AMOR, CHE M’ENVOCASTI CON DOI LUMI
Amor, che m’envocasti con doi lumi
de doi beli occhi dov’io me strugo e sface,
da bianca neve e da rosa vivace,
da un bel parlar in donnessi costumi.
Tal che tanto ardo, che né mar né fiumi
spegnar potrian quel foco; ma non mi spiace,
poiché ‘l mio ardor tanto di ben mi face,
ch’ardendo onior piud’arder me consumi.
Quanto fu dolce el giogo e la catena
de’ tuoi candidi braci al col mio vòlti
che, sogliendomi, io sento mortal pena.
D’altre cose io non dico, che for molti
ché soperchia docenza a morte mena
e però tacio, a te i penser rivolti.
HO AM’, HO AM’, VI LOGIS MIN AL RETO
Ho am’, ho am’, vi logis min al reto
per la okuloj, kies bril’ doloras,
per neĝaj vangoj, kie rozoj floras,
per dolĉa vort’ kaj nobla etiketo.
Jen flam’ en mi! Estingas ĝin nenio,
nek la river’, nek mar’. Sed mi ne ĝemas.
Volupto tia en ĉi ardo tremas,
dum ĉiam pli konsumas min pasio.
Ho, estis dolĉa jugo, dolĉa ĉen’
neĝblankaj viaj brakoj ĉirkaŭ kolo.
Malligis vi – jen mia kor’ en sven’.
Pri la ceteraj ĉesu la parolo,
ĉar dum la cit’ mortigus min ĉagren’,
nur mute do mi pensas vin en solo.
Raffaello Sanzio, trad. Kálmán Kalocsay
(Literatura Mondo 1922-1, p. 14)
EN RETON VI MIN LOGIS, AM’, HO AM’
En reton vi min logis, am’, ho am’,
per la okuloj, kies bril’ doloras,
per vangoj neĝaj, kie rozoj floras,
per dolĉaj moroj, nobla vort-ornam’.
Mi flamas. Tion ne estingas jam
river’, nek mar’. Sed plende mi ne ploras,
ĉar ĉi volupta ardo ja valoras,
ke min konsumos la pasia flam’.
Ho estis dolĉa jugo, dolĉa ĉen’:
neĝblankaj viaj brakoj ĉirkaŭ l’ kolo.
Vi rompis ĝin, kaj kaptis min kor-sven’.
Pri la cetero ĉesu la parolo,
ĉar dum la cito murdus min ĉagren’.
Nur mute do mi pensas vin en solo.
Raffaello Sanzio, trad. Kálmán Kalocsay
(“Eterna bukedo”, 1931, p. 82;
“Tutmonda sonoro”, 1981, p. 324)