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La prima guerra mondiale

Il 24 maggio è l’anniversario dell’entrata in guerra (nel 1915) dell’Italia, in quella che in un primo tempo veniva chiamata “Guerra europea” e poi diventò “Guerra mondiale” o “Grande Guerra” (senza immaginare che ce ne sarebbe stata un’altra ancora più grande).

Tutte le guerre sono deplorevoli, perché sono causa di morti (v. immagine allegata) e distruzioni, ma nel caso specifico lo fu di più, perché pose di fronte in armi popolazioni che poi furono chiamate a convivere.

Almeno 70.000 trentini combatterono nell’esercito austriaco; i triestini erano in gran parte imbarcati sulle navi imperial-regie, ma furono anche tra i primi ad essere mandati sul fronte orientale, già l’11 agosto 1914, insieme con goriziani, istriani, sloveni e croati, in totale 4.300, come ricorda una lapide (v. immagine allegata) nella Stazione centrale di Trieste, all’epoca Südbanhof, cioè “Stazione meridionale” in rapporto a Vienna.

Trovo molto bello che (nel centenario) il calendario ufficiale dell’Esercito italiano per il 2015 abbia riportato anche un rispettoso ricordo di chi “combatté contro di noi” (v. immagine allegata), in particolare le truppe da montagna trentine e sudtirolesi. E trovo altrettanto bello che la Provincia di Trento abbia lanciato, a suo tempo, una iniziativa che prendeva nome da famosi versi di Giuseppe Ungaretti, trattida “San Martino del Carso”

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

Ma nel cuore

nessuna croce manca

È il mio cuore

il paese più straziato)

 

Forse per evitare fraternizzazioni, i sudditi austriaci di lingua italiani venivano mandati a combattere in Galizia, oggi Polonia; in compenso, i polacchi venivano mandati a combattere in Italia (il padre di Karol Wojtyła, anche lui di nome Karol, combattè sul Piave, ma sull’altra sponda).

Particolarmente penosa fu la situazione degli esperantisti, perché all’epoca il movimento era fiorente soprattutto nei territori austro-ungarici (Trieste, Trento, Bolzano, Istria, Fiume), ed anche in Italia l’attività principale era nel Friuli diviso in due: la rivista “L’Esperanto” si stampava nella tipografia di Antonio Paolet a San Vito al Tagliamento, nel Friuli “italiano”, in zona di guerra.

Poiché, però, anche le tragedie più grandi hanno spesso un risvolto positivo, ecco che scrive la rivista “L’Eperanto” nel numero 1915-12:

 

I SOLDATI ESPERANTISTI

A consolazione degli Esperantisti ed a riprova dell’utilità dell’Esperanto, la “Gazzetta del Popolo” riporta dall’organo degli esperantisti tedeschi “Germana Esperantisto” la lettera che un soldato austriaco, fatto prigioniero dai russi e trasportato in Siberia, scrisse dalla sua prigionia ad un amico tedesco:

«Quando caddi nelle mani dei russi – egli scrive – potei per la prima volta, apprezzare giustamente il valore di una lingua neutrale ausiliare. La piccola stella verde dell’Esperanto, che porto sempre con me, destò l’attenzione degli assistenti di un’ambulanza, i quali si allontanarono, per ritornar subito in compagnia di un ufficiale russo. Questi aveva appena visto la stella verde, che con gli occhi raggianti si avvicinò a me, mi salutò in esperanto e mi domandò se fosse vero che i francesi avessero oltrepassato il Reno. Quando apprese da me la verità opposta, ne fu molto meravigliato. Per intervento di questo ufficiale, io fui curato molto diligentemente e dopo quattro giorni mi trasportarono a Mosca. Anche qui 1’Esperanto mi fu utile. Al secondo giorno vennero a trovarmi tre ufficiali, che erano lieti di poter parlare esperanto con uno straniero. Dopo alcuni giorni dovevo essere trasportato in Siberia ma, grazie all’intervento di questi ufficiali, restai a Mosca e fui addetto al servizio presso uno di questi ufficiali: posto di fiducia che debbo soltanto alla mia conoscenza dell’Esperanto. Più tardi vennero anche diciannove «honved» e sette italiani. Due «honved» e un trentino mi si diedero a conoscere per Esperantisti. Io scrissi subito al Gruppo Esperantista di questa città e alcuni suoi membri vennero subito a trovarci, lietissimi di poter parlare Esperanto con tedeschi, ungheresi e italiani.»

E la lettera, spedita dalla Siberia per mezzo del Gruppo Esperantista di Stoccolma, finisce con saluti degli Esperantisti russi agli esperantisti tedeschi, documento interessante di affratellamento idiomatico.

Giovanni Della Savia

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Allego queste immagini:

– tomba di un ignoto soldato italiano nel Cimitero militare (Sacrario) di Redipuglia, con la scritta:

Che t’importa il mio nome? Grida al vento

“Fante d’Italia!” e morirò contento

targa commemorativa nella stazione centrale di Trieste (per gentile concessione del Club Touristi triestini);

– estratto dal calendario ufficiale dell’Esercito Italiano del 2015, in memoria del soldato alpino austriaco Sepp  Innerkofler.

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