Il 28 maggio è l’anniversario della nascita (nel 1738) del medico e politico francese Joseph-Ignace Guillotin (1738-1814)
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famoso per aver presentato all’Assemblea Nazionale francese, nel 1789, un progetto per l’adozione della decapitazione meccanica come modo d’esecuzione della pena capitale, mediante uno strumento che da lui prese il nome «ghigliottina», allo scopo di rendere meno dolorosa l’esecuzione, e come primo passo per l’abolizione della pena di morte.
Sulla pena di morte dal punto di vista della Chiesa cattolica, la rivista cattolica in Esperanto «Espero katolika» (1994-6/7, p. 68-78) ha pubblicato un lungo articolo (traduzione di un articolo in lingua italiana della rivista dei gesuiti «La civiltà cattolica»), prendendo in esame l’articolo 2266 e il primo capoverso dell’articolo 2267 del «Catechismo della Chiesa cattolica», che avevano suscitato molte polemiche negli stessi ambienti cattolici, quasi si fosse ancora all’epoca di “Mastro Titta”
www.bitoteko.it/esperanto-vivo/2017/03/06/mastro-titta/
2266: «Corrisponde ad un’esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell’uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l’ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole».
2267, primo capoverso: «L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani».
Per ovvi motivi di spazio, purtroppo non è possibile riprodurre qui le 11 pagine dell’articolo della rivista, che comunque chiarisce l’esatta (e più limitata) portata dell’affermazione contenuta nel primo capoverso del numero 2267, da leggere alla luce di questi successivi capoversi:
«Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.
Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti” [Evangelium vitae, n. 56]».
Allego la copertina di “Espero katolika” 1994-6/7, con l’immagine di una delle ultime esecuzioni pubbliche mediante ghigliottina.