Personaggi

Giovanni Prati

Il 9 maggio ricorre la morte (nel 1884) del poeta e politico Giovanni Prati (1814-1884) (*)

it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Prati

(*) Secondo la scheda del Senato

notes9.senato.it/web/senregno.nsf/e56bbbe8d7e9c734c125703d002f2a0c/81431831f3cea0cd4125646f005eb590?OpenDocument

Giovanni Prati nacque il 27 gennaio 1815; se è così, è sbagliata la data (27.1.1814) indicata in Wikipedia; sarebbe anche da rivedere l’indicazione del luogo di nascita (Campomaggiore) riportato in Wikipedia.

Nato a Dasindo (oggi frazione del Comune di Comano Terme), nel Trentino all’epoca appartenente all’Impero Austro-Ungarico, trascorse altrove la maggior parte della vita (Padova, Milano, Venezia, Torino, Firenze, Roma), perché ammiratore e sostenitore della dinastia Sabauda. Per la sua attività filo-italiana il Governo Austriaco lo espulse dal Regno Lombardo-Veneto (anche Milano e Venezia all’epoca appartenevano all’Impero), e d’altro canto il Governo del Granducato di Toscana (sotto la dinastia Asburgo-Lorena) gli rifiutò l’asilo politico.

Eletto nel 1861 Deputato nel Parlamento dell’Italia unificata, con Torino capitale del nuovo Regno, seguì il Governo prima a Firenze e poi a Roma; nominato Accademico della Crusca, Membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e Senatore, morì a Roma nel 1884.

È tornato in Trentino dopo la morte (è sepolto a Dasindo).

In Esperanto esistono le versioni di quattro sue poesie:

A M… (Ino, se iam falos vido via), trad. Aldo de’ Giorgi, Itala Antologio, 1987, pag. 378; riprodotta in “Trentlando – verkistoj, legendoj, kantoj”, FEI, Milano 2014, pagg. 17-18;

–  Il canto di Igea (Kanto de Higiea), trad. Enrico Dondi, “Itala Antologio”, 1987, pagg. 379-382; riprodotta in “Trentlando – verkistoj, legendoj, kantoj”, FEI, Milano 2014, pagg. 18-22;

Paco (trad. Carlo Minnaja, “Trentlando – verkistoj, legendoj, kantoj”, FEI, Milano 2014, pag. 22);

En horo, kiam (trad. Carlo Minnaja, “Trentlando – verkistoj, legendoj, kantoj”, FEI, Milano 2014, pagg. 22-23).

Trascrivo il “Canto di Igea” (in italiano e in Esperanto), ed allego:

– l’immagine del monumento nei giardini di piazza Dante a Trento;

– la copertina della “Itala Antologio” (Antologia italiana);

– la copertina del volume “Trentlando – verkistoj, legendoj, kantoj”, FEI, Milano 2014.


IL CANTO D’IGEA

 

A chi la zolla avita

ara co’ propri armenti

e le vigne fiorenti

al fresco olmo marita,

e, i casalinghi dèi

bene invocando, al sole

mette gagliarda prole

da’ vegeti imenei;

 

a chi le capre snelle

sparge sul pingue clivo,

o pota il sacro olivo

sotto clementi stelle;

a chi, le braccia ignude,

nel ciclopeo travaglio

picchia il paterno maglio

su la fiammante include;

 

a questi Igea dispensa

giocondi operatori

i candidi tesori

del sonno e della mensa.

Le poderose spalle

e i validi toraci

io formo a questi audaci

del monte e della valle.

 

Né men che si periglia

coi flutti e le tempeste

del nostro fior si veste,

se il mar non se lo piglia:

né men chi suda in guerra

porta le mie corone,

se innanzi il dì no ‘l pone

lancia nemica in terra.

 

Ma guai chi tenta il volo

per vie senza ritorni!

Languono i rosei giorni

al vagabondo e solo.

Perché, mal cauti, il varco

dare alla mente accesa?…

Corda che troppo è tesa

spezza se stessa e l’arco.

 

Dal dì che il mondo nacque,

io, ch’ogni ben discerno,

scherzo co ‘l riso eterno

degli arbori e dell’acque;

e dalla bocca mia

spargo, volendi i numi,

aure di vita e fiumi

di forza e d’allegria.

 

Su ‘l tramite beato

però più d’uno è vinto

per doloroso istinto

o iniquità del fato:

ma può levarsi pieno

di gagliardia divina,

s’ei la sua testa china

nel mio potente seno.

 

Dal sol che spunta e cade

a voi nella pupilla,

dall’aria che vi stilla

il ben delle rugiade,

dai rivi erranti e lieti,

dal rude fior dei vepri,

dal fumo dei ginepri,

dal pianto degli abeti,

 

da ogni virtù che il sangue

e il corpo vi compose,

rispunteran le rose

su ‘l cespite che langue;

e i liberi bisogni,

che risentir si fanno,

nell’ombra uccideranno

le amare veglie e i sogni.

 

Salvate, oimé, le membra

dal tarlo del pensiero!

A voi da canto è il vero

più che talor non sembra.

L’uom che lo chiese altrove

dannato è sul macigno,

e lo sparvier maligno

fa le vendette a Giove.

 

In voi, terrestri, mesce

vario vigor Natura:

ma chi non tien misura,

alla gran madre incresce.

Destrier che l’ira invade,

fatto demente al corso,

su i piè barcolla, il morso

bagna di sangue… e cade.

 

Perché affrettar l’arrivo

della giornata negra?

Ne’ baci miei t’allegra,

o brevemente vivo!

Progenie impoverita

che cerchi un ben lontano,

nella mia rosea mano

è il nappo della vita.

 

Giovanni Prati

 

 

KANTO DE HIGIEA

 

Kiu la patran kampon

kun propraj brutoj plugas,

al l’ ulmo freŝa jugas

la floran vino-planton,

kaj l’ diojn hejmoŝirmajn

preĝante laŭ la deco,

el frukta geedzeco

generas idojn firmajn;

 

kiu sur flordeklivo

la sveltajn kaprojn regas,

sub stel’ favora flegas

la arbon de l’ olivo;

kiu ciklop-labore

kun nuda brak’ staradas

kaj per martelo batas

l’ amboson, patramore;

 

vivante sen agito

ĝuas de Higiea

pri la trezoro trea

de l’ tablo kaj de l’ lito.

La ŝultrojn vigloplenaj

kaj brustojn fortohavaj

mi formas al ĉi bravaj

de l’ montoj kaj ebenoj.

 

Ne kiu disbaraktas

en ondo-malsereno,

ĝuas pri mia beno,

se lin la mar’ ne kaptas.

Kiu en militago

ŝvitas, mi lin ne kronas,

se lanc’ al li ne donas

la morton antaŭ l’ tago.

 

Ve, kiu ekflugemas

al senrevena vojo!

La roza vivo-ĝojo

en sol’ kaj vago ĝemas.

Vin, sengarduloj, trompas

la menso ekzaltata:

la ŝnur’ tro etendata

sin mem kaj l’ arkon rompas.

 

 

De l’ tago de l’ prajaro,

mi, kiu ĉion vidas,

per rid’ eterna ridas

de l’ akvo kaj arbaro;

el mia buŝ’ kun riĉo

blovas, laŭ di-konsento,

vivspiro kaj torento

de forto kaj feliĉo.

 

Sur vojo de l’ beato

jen pli ol unu cedas,

ĉar misinstinkt’ obsedas

aŭ ĉar malbonas fato:

sed pli da fort’ intensa

ekstare li ricevas,

se l’ kapon li mallevas

al mia sin’ potenca.

 

La sun’, kies aperoj

sur la okul’ alternas,

l’ aero, kiu sternas

la bonon de l’ roseroj,

la gaja akvobrilo,

la kruda veprofloro,

la juniper-odoro,

kaj la abi-distilo

 

kaj tiu pov’, kreinta

la sangon kaj la karnon,

redonos rozo-ĉarmon

al tigo pereinta;

kaj la bezon’ libera,

kiu en vi reĝermas,

plagon de l’ zorg’ ekstermas

kaj de l’ maldorm’ sufera.

 

Ne lasu vin obsedi

de l’ boro de l’ cerbumo!

Proksimas vero-lumo

pli ol vi povas kredi.

Kiu ĝmalapude

serĉis, sur roko staras,

kaj l’ akcipitro faras

al Jov’ la venĝon krude.

 

Diversajn fortojn prenas

vi de l’ Natur’, teruloj;

vivante sen reguloj

vi la patrinon ĝenas:

se ĝin koler’ vualas,

ĉeval’ de l’ gvido fuĝa,

baraktas. sangoruĝa

igas la bridon… falas.

 

Kial de l’ tag’ bedaŭra

urĝigi la alvenon?

Ekĝuu mian benon,

ho vi kun viv’ maldaŭra.

Idaro sen fortiko

en serĉ’ de bon’ alia,

en roza mano mia

estas la viv-kaliko.

 

Giovanni Prati, trad. Enrico Dondi

(el “Itala Antologio”, 1987)

 

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