Il 18 giugno ricorre la morte (nel 1936) dello scrittore e poeta russo Aleksej Maksimovič Peškov (1868-1936), conosciuto con lo pseudonimo Maksim Gorkij (che in russo significa “amaro”: fu scelto per indicare che veniva analizzata l’amara verità)
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che nel 1958 (secondo una statistica mondiale UNESCO riportata nel numero 1961-4 di Espero Katolika) era il quarto autore russo per numero di traduzioni in lingue straniere, dopo Lenin, Tolstoj e Dostoevskij.
Perseguitato dal regime zarista per le sue idee proletarie, intimo amico di Lenin (che lo ospitò a Capri), Gorkij, considerato padre del cosiddetto “realismo socialista”, fu un esponente marxista (come evidenziato con un certo compiacimento nella “Enciklopedio de Esperanto” del 1933), anche se vi è il sospetto che la sua morte sia stata provocata da avvelenamento per ordine di Stalin, con il quale era entrato in collisione.
La sua popolarità nel mondo comunista è attestata da vari fatti:
– la sua città natale fu ribattezzata Gorkij nel 1932 (quando egli era ancora in vita; del resto, una cosa simile era avvenuta nel 1925 con l’intitolazione a Stalin di Stalingrado), e con questo nome rimase fino al 1990 (andò peggio a Stalin: già nel 1961 Stalingrado cambiò nuovamente nome, e non potendo tornare ad essere l’antica Zarizyn – cioè, residenza dello Zarevič erede al trono imperiale – divenne Volgograd);
– in suo onore, la Cecoslovacchia emise nel 1968 un francobollo, di cui allego l’immagine;
– nella Repubblica Democratica Tedesca, in epoca imprecisata, fu prodotta la cartolina allegata, che presenta una esternazione di Gorkij (evidentemente ritenuto un valido testimone) a favore dell’Esperanto. Il rischio, in questi casi di compromissione con una parte politica, è che chi professa idee diverse può provare repulsione, e quando cambia il vento quella che era una propaganda positiva diventa qualcosa da dimenticare e far dimenticare.
Può sembrare strano che nel numero 1923-10 della “Itala Esperanta Revuo” (ottobre 1923, in epoca fascista) sia recensito il volume di M. J. Krestanoff “Bukedeto – Sep diversnaciaj rakontoj”, comprendente un racconto di Gorkij; ma – a parte la tendenza esperantista a non frapporre barriere – non bisogna dimenticare che proprio in quei mesi l’Italia di Mussolini era protesa verso oriente (tanto che fu il primo Paese europeo che, il 7 febbraio 1924, riconobbe formalmente l’Unione Sovietica dopo la Rivoluzione di Ottobre), per cui la menzione di Gorkij era, tutto sommato, in sintonia con quello che era all’epoca l’atteggiamento del regime fascista.
In Esperanto sono state pubblicate varie opere di Gorkij; in aggiunta a quelle citate (con qualche imprecisione) nella pagina di Wikipedia, segnalo queste due poesie, dell’epoca zarista:
La falko, trad. Nikolaj Kabanov, La Revuo, 1906-1907, I, pagg. 449-450;
La ventegbirdo, trad. Nikolaj Kabanov, La Revuo, 1906-1907, I, pagg. 450-452;
Sono anche apparsi:
– il racconto Bolesĉjo, in Esperanto de UEA 1917-6, pagg. 67-68 ;
– il racconto Nunzia (Nuncia), Esperanto de UEA 1918-12, p. 134;
– la novella Homaro kaj naturo, trad. B.M. Newell, in Literatura Mondo 1933-157.
Inoltre, articoli su Gorkij si trovano in Literatura Mondo 1932-10, pagg. 173/174 e Literatura Mondo 1936-4, pagg. 112/113; ed immagini dal libro di Gorkij “El miaj infajaroj” sono in Literatura Mondo 1922-1, pagg. 8-9.