Homoj

Matteo Ricci

La 11-a de majo estas la datreveno de la morto (en 1610) de la itala (markia) katolika pastro (jezuito), matematikisto, kartografo kaj ĉinspertulo Matteo Ricci (1552-1610)

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fama ne nur pro sia evangeliza agado unue en Hindio kaj poste en Ĉinio, sed ankaŭ kaj precipe pro sia scienca aktiveco, kaj ĉar li elektis la vojon de la enkulkturiĝo en la lokan realon (lia moto estis «Fariĝi ĉino kun la ĉinoj»), surmetante unue la veston de budaista bonzo kaj poste tiun de ĉina klerulo, razante al si la kapon, lernante la ĉinan lingvon, studante la multfacetan ĉinan kulturon (inkluzive de konfuceismo, kiun li vidis kiel antaŭulon de kristanismo), kaj alprenante la ĉinan nomon “Li Mateu” (Li = komenca silabo de la familia nomo Ricci, legata laŭ la ĉina elparolo; Mateu = Matteo).

Temis pri la tipe jezuita metodo de la tiel dirita “adaptiĝo”, nepra rimedo por alproksimiĝi al kulturaj kaj religiaj realaĵoj radikale malsamaj.

Samkiel Sankta Paŭlo por disvastigi la fruan kristanismon, Matteo Ricci amplekse utiligis la konceptojn de la greka filozofio (li eĉ tradukis al la ĉina la manlibron de la greka stoika filozofo Epikteto); kaj – samkiel faris Sankta Paŭlo pri la malnovgreka – devis krei teologian terminaron en la ĉina (ekzemple, “Dio” estis tradukita per Tianzhu”, tio estas “Sinjoro de l’ ĉielo”, dum Romo postulis, ke oni diru “Deus” en latino).

Matteo Ricci ne havis facilan vivon; ne tiom pro la opozicio de elstaruloj de la ĉina budaismo, kiom pro la akuzoj lanĉitaj kontraŭ li de franciskanoj kaj dominikanoj (defendantoj de la tradicia doktrino, kaj ligitaj al Hispanio, dum Ricci estis ligita al Portugalio), kiuj ne aprobis liajn strebojn alproksimigi inter si kristanismon kaj konfuceismon, kaj riproĉis lin ĉar li ne emis paroli pri krucumita Kristo (Ricci agis tiel pro respekto al la loka sentiveco, kiu abomenis la ideon de viro nuda kaj trapikita; cetere, ankaŭ en la fruaj kristanaj komunumoj oni evitis bildigi la Krucumiton, kaj oni prezentis tiun bildon al la baptotoj nur je la fino de la vojo de kristana inicado).

La fina bato al la pacienca evangeliza agado de Matteo Ricci venis post lia morto, ĉar, dum Papo Paŭlo la 5-a (Camillo Borghese) rajtigis traduki la liturgiajn tekstojn en la ĉinan, post ilia traduko liaj posteuloj rifuzis aprobi tiujn tekstojn, tenante firma la uzon de latino.

Pro kurioza paradokso, ankoraŭ hodiaŭ la ĉinaj katolikoj celebras en latino, malgraŭ la enkonduko de la naciaj lingvoj en la liturgion fare de la dua VatikanaKoncilio, ĉar mankas Ĉina Episkopara Konferenco, kiu aprobu la liturgiajn tekstojn en la ĉina (io simila okazis kun la Meslibro en Esperanto, kiu en 1990 estis aprobita rekte de la Sankta Seĝo post 25-jara jura diskuto, pro la memkomprenebla manko de Episkopara Konferenco de neekzistanta “Esperantujo”).

Mi prezentas la tradukon al la itala de artikolo el “Espero katolika” 1986-7/8, p. 125-129, kies originalo en Esperanto (ankaŭ kun kolorbildoj) estas legebla ĉe

www.esperokatolika.org/ek19861990/ek1986_0708.htm#4

kaj aldonas:

vatikanan specialan stampon de la 23-a de oktobro 1982, pro la kvarjarcenta datreveno de la eniro de Patro Matteo Ricci en Ĉinion;

bildon de la fasado de la Baziliko de Sankta Petro en Vatikano. La latinlingva skribaĵo memorigas la inaŭguron en 1612 de la nova Baziliko, kaj signifas “Je la honoro de la Princo de la Apostoloj/ Paŭlo la 5-a Borghese Romano/ Plejsupra Pontifiko Jaro 1612, 7-a de papado”. Oni rimarku ke la centra (honora) loko estas rezervita al Papo Paŭlo la 5-a, ne al la “Princo de la Apostoloj” (Sankta Petro, kies nomo eĉ ne aperas).


«RICCI MATTEO» DIVENNE «LI MATEU»

 

Introduzione

«Sulle cose della Cina circolano in Europa molti libri; tuttavia ritengo che gradirete ricevere notizie da noi, piuttosto che da altre persone che non sono mai state in Cina, e scrivono in base a notizie riportate, e per di più procurate mediante persone meno informate di noi. Difatti noi viviamo ormai da 30 anni in questo regno, viaggiamo continuamente attraverso le più eminenti e importanti province, trattiamo continuamente con eminenti funzionari e studiosi cinesi nelle corti di Pechino e Nanchino; parliamo la loro lingua e conosciamo profondamente i loro riti e costumi, e soprattutto – la cosa più importante – abbiamo giorno e notte nelle mani i loro libri».

Questo scriveva dalla Cina il missionario e studioso italiano Matteo Ricci, in cinese Li Mateu (1552-1610), che svolse in modo esemplare il ruolo di far conoscere la Cina all’Occidente e viceversa.

«Un pioniere, che ha aperto la strada che collega la civiltà occidentale con quella della Cina» lo ha definito l’ambasciatore della Cina Popolare presso la Repubblica Italiana, Zhanh Yue.

 

Da Roma a Zhaoqing

Su Matteo Ricci ecco qui alcune note, in attesa di eventuali contributi di persone più colte.

Nato a Macerata (Italia) nel 1552, Matteo Ricci seguì studi di diritto, filosofia e scienze a Roma. Ancora giovane, partì per l’Oriente come missionario. Arrivò a Macao (colonia commerciale portoghese in territorio cinese) nel 1582. Di là si trasferì a Zhaoqing, e poi in sequenza a Qujiang, Nanchino e Pechino, dove morì nel 1610.

A Zhaoqing fece amicizia con il prefetto della città, Wang Pan. Il giovane italiano fu impressionato dalla cultura e dalla morale raffinate di quel popolo, dai suoi sentimenti di dignità, di rispetto e di gentilezza. Decise non solo di studiare, ma anche di vivere quei valori: come l’apostolo Paolo si fece greco per guadagnare i greci (cfr 1 Cor 9,21), Matteo Ricci scrisse: «ci siamo fatti cinesi per guadagnare a Cristo i cinesi». In quanto religioso, in un primo tempo adottò l’abbigliamento dei monaci buddisti, cioè dei bonzi, e il popolo lo trattava come tale:

«Molti cominciarono a portare profumi per incensare l’altare – scrive – e dare elemosine ai missionari per il loro mantenimento, e per l’olio della lampada che era davanti all’altare. E sarebbe stato facile ottenere dai mandarini una rendita dai campi dei templi; ma i missionari ritennero preferibile non ricevere questa rendita, por non rimanere soggetti ai mandarini, come sono i sacerdoti delle loro divinità; con questo i missionari acquisirono anche fama di non avidità. E quindi tutti i mandarini desideravano trattare con loro, sicuri che non avrebbero chiesto niente, a differenza di come chiedono tutti quelli che trattano con essi».

In quel tempo studiò a fondo tutte le opere di filosofia e di morale, con una speciale attenzione alle convergenze tra confucianesimo e cristianesimo.

Entrato in amicizia con uno dei più eminenti letterati dell’epoca, di nome Qu Taisu, Matteo Ricci ebbe da lui il consiglio di smettere i panni del bonzo ed assumere l’abbigliamento e lo stile di vita dei mandarini e dei letterati confuciani, che maggiormente rappresentavano i valori spirituali della Cina. Ricci seguì quel consiglio.

Come letterato, scrisse le opere morali «Dell’Amicizia» e «Le Venticinque Parole», che furono molto apprezzate dagli intellettuali cinesi.

 

A Nanchino

Nel 1599 Matteo Ricci si trasferì a Nanchino, che trovò molto bella.

«È quella Nanchino, che i cinesi ritengono la più grande e più bella città del mondo. E in verità a poche è inferiore, dato che è piena di molti e grandi edifici, sia pubblici che privati, con molti templi e torri e moltissimi ponti; ed è anche famosa per la fertilità dei campi, per il buon clima, per i mirabili ingegni, per i piacevoli costumi, per l’eleganza della lingua, e infine per il gran numero di popolani, nobili, intellettuali e funzionari, che sono allo stesso livello, per dignità, di quelli della Corte di Pechino. E per questo non solo in Cina, ma anche in tutti questi regni d’Oriente, occupa il primo posto. Possiamo dire che ha tre cinta di mura. La prima appartiene al Palazzo Reale, che è splendido, circondato a sua volta da più di tre muraglie, fatto come un castello o una fortezza, con alti bastioni e fossati all’intorno; questi sviluppano quattro o cinque miglia. Il secondo muro comprende il Palazzo e la parte principale della città, con dodici grandi porte, ed ogni grande porta ha quattro porte distanziate di un tiro di sasso, con battenti di ferro e molte artiglierie, costantemente collocate presso di esse, e questa cerchia è ampia otto miglia. Il terzo muro è esterno, discontinuo, ma solo nei luoghi più pericolosi, dove per mancanza di montagna o fiume potrebbe essere possibile l’ingresso del nemico. È difficile dire quanto sviluppa, ma gli abitanti del posto dicono che misura quaranta miglia. È vero che non è del tutto piena di case, ma dappertutto, perfino nel palazzo del Re, ci sono campi, montagne, laghi, animali selvatici, boschi e parchi molto vasti. Vi stanno costantemente di guardia più di quarantamila soldati con i loro capitani».

A Nanchino Matteo Ricci si dedicò soprattutto all’insegnamento dell’astronomia e della geografia, acquisendo grande prestigio e fama.

Come missionario, cercò nel confucianesimo gli elementi che possono condurre al cristianesimo:

«Anche se ancora non spieghiamo tutti i misteri della nostra santa fede – scrisse – ad ogni modo poniamo i principi base: che Dio è creatore del cielo e della terra, che l’anima è immortale, che c’è una ricompensa per i buoni e per i malvagi, cose sinora sconosciute e non credute da loro, e tutti ascoltano con tale contentezza e lacrime, che spesso si lasciano andare a molte vere lodi, come se noi da soli avessimo trovato tutti questi discorsi; in questa fase iniziale, pensiamo che sia opportuno partire da cose che possiamo anche provare razionalmente».

D’altra parte, i cinesi hanno trovato nella dottrina di Confucio elementi vicini al cristianesimo. Ad esempio, Confucio ha dichiarato: «Le nostre ossa si dissolvono e diventano la terra dei campi, ma lo spirito vive in alto, in una situazione di luce gloriosa. Dio è Padre comune di tutta l’umanità»: tali espressioni potrebbero appartenere all’apostolo Paolo.

 

Ultima tappa: Pechino

Dopo molte difficoltà, nel 1601 il maestro Li Mateu (così aveva reso in cinese il suo nome) riuscì ad arrivare a Pechino. Lo accompagnava la fama di uomo virtuoso ed affabile, saggio e straordinariamente colto: astronomia, matematica, algebra, cartografia e geografia erano discipline in cui eccelleva. Fece conoscere ai cinesi la scienza occidentale, scrivendo molti libri nella loro lingua. Ebbe grande fama la sua mappa del mondo, che ampliò l’orizzonte geografico dei cinesi.

Al tempo stesso, si sforzò di far conoscere in Occidente la cultura cinese, che aveva esplorato profondamente.

«Il nome di Matteo Ricci dichiarò nel 1980 Zhanh Yue, ambasciatore cinese in Italiaè molto conosciuto presso il popolo cinese. È vissuto in Cina 28 anni, ha molto amato il popolo cinese, presso il quale ha goduto di grande stima. Ha avuto vasti contatti con i diversi ambienti cinesi; è stato modesto ed affabile, ha molto coltivato l’amicizia, ed ha avuto molti amici…Non ha soltanto portato e diffuso in Cina le scienze e la tecnologia dell’Occidente, ma ha pure studiato i problemi della Cina alla luce della situazione del Paese. Tutto quello che ha fatto ha condotto alla elevazione del livello scientifico-tecnico della Cina. Studiò tenacemente la lingua cinese, tanto che riuscì a scrivere in cinese e tradurre in cinese, contribuendo in notevole maniera allo scambio culturale tra l’Occidente e la Cina».

Matteo Ricci morì a Pechino nel 1610, ed ebbe il privilegio (unico per uno straniero) di una tomba all’interno della città imperiale.

Il suo modello di missione è ancor oggi esemplare: si basa sulla convinzione che diventare cristiano non significa tradire o rinnegare, ma evolvere e completare la cultura nazionale, e che per il cristiano la leale fedeltà alla sua patria rimane fuori di dubbio.

A Pechino, la pietra tombale di Li Mateu (con la scritta in latino e in cinese), fatta a pezzi durante la Rivoluzione Culturale, è stata restaurata.

Battista Cadei

(“Espero Katolika” 7-8/1986, p. 125-129 – trad. Antonio De Salvo)

 

 

 

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