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Busti del Pincio

Aveva ragione Orazio, quando scrisse (Odi, libro III, XXX), che con la sua poesia si era eretto “un monumento più duaturo del bronzo” (“Exegi monumentum aere perennius”); in questo momento storico, nulla è più effimero dei classici monumenti.

Roma possiede due grandi collezioni di busti all’aperto: una è quella che sul Gianicolo ricorda i patrioti, con particolare riguardo a quelli che difesero la Repubblica Romana nel 1849; l’altra, più nota, è quella del Pincio, di cui (anche se molti lo ignorano) parla il poeta romanesco Cesare Pascarella (1858-1940) nei sonetti della “Scoperta dell’America”:

 

XLVIII

 

E l’italiano è stato sempre quello!

E si viè ‘n forestiere da lontano,

sibbè ch’ha visto tutto er monno sano

si arriva qui s’ha da cavà er cappello.

 

Qui Tasso, Metastasio, Raffaello,

Fontan de Trevi, er Pincio, er Laterano,

la Rotonna, San Pietro in Vaticano,

Michelangelo, er Dante, Machiavello…

 

Ma poi nun serve mo’ che t’incomincio

a dilli tutti, tu, si te l’aggusti

tutti st’omini qui, vattene ar Pincio.

 

E lì, mica hai da fà tanti misteri:

ché quelli busti, prima d’esse busti,

so’ stati tutti quanti òmini veri.

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L’idea dei busti al Pincio, dedicati a grandi personalità italiane, venne a Giuseppe Mazzini (1805-1872) nel 1849, per dare lavoro agli artisti caduti in disgrazia dopo i moti del 1848, e per suscitare orgoglio nazionale nei cittadini che, passeggiando lungo i viali del parco pubblico, avrebbe ripercorso la storia d’Italia.

Mazzini, però, non aveva fatto i conti con i soliti problemi italiani: la burocrazia e la mancanza di fondi.

Si arrivò quindi al ritorno dall’esilio di Pio IX, i l quale ovviamente non gradì i busti progettati per eretici, atei e rivoluzionari, ai quali, quindi, furono cambiati i connotati: ad esempio, Girolamo Savonarola divenne Guido d’Arezzo; il tribuno della plebe Caio Gracco divenne l’architetto Vitruvio; e Vittorio Alfieri (che, tra le altre cose, aveva scritto un opuscolo intitolato “Il divorzio”) diventò Vincenzo Monti (ma nel 1871, con il Papa rinchiuso in Vaticano dopo la Breccia di Porta Pia, il Comune di Roma dedicò a Vittorio Alfieri un busto nuovo di zecca).

Chi ha contato le statue del Pincio, dice che sono 228; periodicamente, subiscono atti di vandalismo (in particolare, la rottura del naso, e l’imbrattamentomediante vernice).

Soltanto tre rappresentano donne: la poetessa Vittoria Colonna; la scrittrice premio Nobel Grazia Deledda; e la santa compatrona di Roma Caterina da Siena.

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Immagine: musica domenicale al Pincio, da una vecchia cartolina dei primi anni del Novecento.

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