Personaggi

Matteo Bandello

Matteo Bandello (1485-1561)

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è stato uno scrittore italiano (piemontese), quasi contemporaneo di Leonardo da Vinci (1452-1519)

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(quando nel 1497, a soli 12 anni, Bandello entrò nel convento domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano, Leonardo da Vinci vi stava dipingendo il famoso affresco dellUltima Cena).

Umanista, studioso di latino e greco, Bandello, sebbene ecclesiastico, ebbe unintensa vita mondana: fu un assiduo frequentatore dei salotti aristocratici milanesi, poi della Corte dei Gonzaga a Mantova

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e infine della Corte del Re di Francia Enrico II di Valois

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Nel 1550 divenne Vescovo di Agen, ed in Francia morì intorno al 1561.

Bandello è ricordato soprattutto per le numerose novelle (in totale 214, in quattro libri, di cui lultimo pubblicato postumo)

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di varia origine, spesso di contenuto licenzioso malgrado la condizione ecclesiastica dellautore; ad esse hanno attinto a piene mani famosi scrittori stranieri: ad esempio, probabilmente William Shakespeare (1564-1616)

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trasse dalla traduzione in francese delle novelle di Bandello il soggetto per le commedie Much Ado About Nothing” (Molto rumore per nulla), “Twelfth Night, or What You Will” (La dodicesima notte, o Quel che volete) e “The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet” (Romeo e Giulietta)

www.bitoteko.it/esperanto-vivo/2018/02/20/riccardo-cocciante/

(il soggetto, peraltro, è presente già in un racconto di Masuccio Salernitano (1410-1475)

it.wikipedia.org/wiki/Masuccio_Salernitano ).

e in un altro di Luigi da Porto (1485-1529)

it.wikipedia.org/wiki/Luigi_da_Porto ).

Lo spagnolo Félix Lope de Vega y Carpio (1562-1635)

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(del quale parlerò in altra occasione)

si ispirò a Bandello per almeno 16 commedie (tra cui una rielaborazione della storia di Romeo e Giulietta, “Castelvines y Monteses”, però con un lieto fine).

Anche Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616)

www.bitoteko.it/esperanto-vivo/2017/04/22/cervantes/

si ispirò a Bandello, per la novella “La española inglesa” (La spagnola inglese).

In Esperanto, di Bandello esiste la traduzione, di Vincenzo Musella, della IX novella del terzo libro, “Dui giovini vestiti di bianco sono con una burla da un altro giovine beffati” (Du dandoj mokitaj), “Itala Antologio” (Antologia Italiana), 1987, p. 182-184. La traduzione è molto più antica, a giudicare dal fatto che fu trasmessa da Radio Roma-Esperanto il 27 dicembre 1957.

Trascrivo la novella, in italiano e in Esperanto, ed allego:

– una cartolina della c.d. “Casa di Giulietta” a Verona, con didascalia in Esperanto;

– un estratto della terza pagina di copertina de “LEsperanto” 1957-48, con i programmi di Radio Roma di dicembre 1957.


Dui giovini vestiti di bianco sono con una burla da un altro giovine beffati.

 

Erano dui giovini assai di buon sangue, i quali tenevano del simpliciotto anzi che no, perché il prete dando loro il battesimo pose pochissimo sale in bocca a luno e a laltro. E per essere, come si costuma dire a Milano, parrocchiani de la parrocchia di San Simpliciano, avevano contratto per la somiglianza de le nature una gran familiarità insieme, e sempre di brigata andavano e vestivano per lordinario duna medesima foggia. Se poi si trovavano con altri giovini, dicevano le maggior pappolate del modo, e non potevano sofferire che altri che essi parlasse, e spesso senza rispetto veruno rompevano i ragionari degli altri. E trovandosi aver cattivi vicini, tutti i ragionamenti che facevano erano per la più parte in lodarsi e commendar tutte le cose proprie, di modo che fastidivano qualunque persona che gli ascoltasse, e mal volentieri erano ricevuti in compagnia.

Ora avvenne che essendo di state, essi si vestirono di zendado bianco, cioè il giuppone e il robone; le calze erano di panno bianco e le scarpe e la berretta pur bianche, di velluto, con pennacchini bianchi ne le berrette.

Con questo abito comparsero in publico, e come pavoni andavano facendo la ruota, e a passo a passo riguardandosi e contemplandosi da ogni banda, e tuttavia con la coda de locchiolino sotto vista mirando saltri guardava loro, parendogli pure che ciascuno di questo loro abbigliamento devesse tener proposito. Quando poi erano in compagnia daltri, fuor dogni proposito entravano sul pecoreccio di questo lor abito, di modo che ciascuno fuggiva la pratica loro più che si poteva, parendo a tutti aver sempre negli orecchi: – Mirate questo passamano come profilatamente sta su questo giubbone! vedete queste penne finissime come ad ogni picciolo soffiare di poco vento si moveno e fanno un tremolare il più bello del mondo! che dite voi di questi puntali e di questa maestrevolmente fatta impresa? Certo che il tutto campeggia per eccellenza. E vi so dire che pochi, eccetto noi, averebbero sì bene accompagnato il tutto.  –

Con queste e altre simili ciancie erano a noia a tutti. Eravi un giovine molto galante, accorto e avveduto, al quale questi fecciosi modi di questi dui ganimedi meravigliosamente dispiacevano. Questi andava pur tuttavia imaginandosi come potesse lor far una berta e levar quella seccaggine de le orecchie di tutti. E cadutogli ne la mente ciò che far intendeva e al tutto messo buon ordine, aspettava loccasione di poter mandar ad effetto ciò che imaginato saveva.

Era, come di già vho detto, di state; onde avendo egli avvertito che quasi ogni sera questi pavoni bianchi passavano per la contrada ove egli aveva la sua casa, perciò che colà vicino erano due belle giovanette con le quali eglino facevano lamore, si mise un giorno dopo cena a star in porta a prender del fresco. E non essendo guari dimorato, ecco che i dui innamorati pavoneggiandosi arrivarono, ai quali fattosi incontra e presogli ambidui per le mani, disse loro: – Voi sète miei prigioni, e quindi non partirete senza ber un tratto.  –

Accettato linvito dai dui, entrarono in casa; ove volendo i servidori lavar i bicchieri, disse il galante giovine: – Io vo che noi andiamo giù nel rivolto a bere, perché averemo più fresco. –

E fatto accender un torchio, essendo lora tarda e la cava scura, scesero a basso.

Mentre che i bicchieri si lavavano, si posero tutti tre i giovini a passeggiar per la cava, che era assai grande e spaziosa. Era quivi un gran vaso pieno dacqua, che il giovine vaveva fatto metter a posta. E perché pareva di grandezza tale che un uomo nol potrebbe levare, egli ai convitati disse: – Io ho un mio uomo che si mette questo vaso su le spalle e lo porta di sopra.  –

Uno dei ganimedi, che si pensava esser molto gagliardo, nol potendo a pena movere: – Io non credo, – disse, – che un uomo possa portar tanto peso. –

Che sì, che no, disputandosi tra loro, giocarono sei para di pernicioni.

In questo bebbero, e venne uno che a questo effetto aveva il giovine fatto venire, e cominciò a mover il vaso e porselo in collo. Il giovine senza dir altro savviò su per le scale per montar in alto. Dopo lui andò il servidore che portava il torchio, e lui appresso quello chaveva il vaso in su le spalle. Seguivano i cavalieri bianchi ridendo. Le scale erano alte, e colui che portava il peso andava assai piano, fingendo esser molto gravato. Come egli fu quasi in cima de le scale, mostrò di intoppare in non so che e lasciò andare il vaso con tal modo che, percotendolo al muro, ciò che dentro il vaso era spruzzò di sorte che stranamente dipinse gli abiti dei dui giovini. Ma di tanto fu avveduto il portatore che ritenne sempre il vaso, ché se lavesse lasciato andar in giù, faceva altro che imbrattar i panni. Lacqua che dentro vera stata posta era stemperata con inchiostro e fango, di tal sorte che quelli, che erano prima bianchi come armellini, alora parevano pantere, così erano zaccherosi dagli schizzi de la percossa acqua e de le mesture che dentro verano. Mostrò il padrone de la casa di fieramente adirarsi con quello che il vaso portava e volerlo stranamente battere, ma egli adoperò le calcagna. E i dui giovini rimasero con il danno e le beffe, e fu necessario che daltri vestimenti si provedessero, perché quelli che indosso avevano erano tutti guasti.

Matteo Bandello, Novelle, Libro III, Novella IX

 

Du dandoj mokitaj

Estis du tre bonfamiliaj junuloj, kiuj estis sufiĉe naivaj, ĉar la pastro, ilin baptante, metis tre malmulte da salo en la buŝon de ambaŭ. Kaj pro tio, ke laŭ la tiama milana esprimo, ili apartenis al la paroĥo de Sankta Simpliciano, ili estis akirintaj, dank’ al la simileco de siaj karakteroj, grandan familiarecon inter si, iris ĉiam kune kaj sin vestis kutime sammaniere. Se ili troviĝis kun aliaj junuloj, ili diris Ia plej stultajn sensencaĵojn; ili ne povis toleri, ke aliaj krom ili parolu, kaj ofte ili interrompis tute senrespekte la konversacion de la aliaj. Kaj, ĉar ili trovis nebonaj ĉiujn, kiujn ili kontaktis, ĉiuj aliaj interparoloj plejofte estis laŭdoj al si mem kaj al ĉiuj siaj entreprenoj, tiel ke ili tedis ĉiujn, kiuj ilin aŭskultis, kaj estis akceptataj malvolonte.

Nu, okazis, ke dum somero ili sin vestis per blankaj jako kaj surtuto, iliaj ŝtrumpoj estis el blanka tolo, kaj iliaj ŝuoj kaj ĉapoj estis ankaŭ blankaj el veluro, kun blankaj plumtufetoj sur la ĉapoj.

Kun ĉi tu vestaĵaro ili aperis publike, kaj samkiel pavoj eletendantaj sian voston, ili paŝon post paŝo sin rigardis kaj sin kontemplis ĉiuflanke, dum intertempe ili okulumis kaŝe, ĉu aliaj ilin rigardas, ĉar sajnis al ili ke ĉiu devas atenti tian vestaĵaron. Kaj, kiam ili estis kune kun aliaj, ili ektraktis senkiale la senkonkludan temon de ĉi tiu sia vestaĵaro; tiel ke ĉiu evitis ilian kunestadon kiel eble pleje, ĉar al ĉiu sajnis aŭdi ĉiam en siaj oreloj: «Rigardu kiel ĉarme tiu ĉi pasamento borderas tun ĉi veston! Vidu kiel bele tiuj ĉi graciaj plumoj moviĝas ĉe ĉiu ventobloveto, farante la plej belan tremeton! Kion vi opinias pri ĉi tiuj feraĵetoj kaj pri tiu ĉi blazono farita tiel majstre? Sendube, la tutaĵo elstaras pro sia perfekteco: kaj mi rajtas aserti, ke nur malmultegaj, krom ni, akompanis tiel bone tian tutaĵon».

Per tiu ĉi kaj aliaj tiaspecaj babilaĵoj ili tedis ĉiujn. Tie estis tre eleganta, lerta kaj sagaca junulo, al kiu tiuj ĉi afektaj manieroj de la du dandoj treege malplaĉis. Tial tiu ĉi demandadis sin, kiamaniere li ridindigu ilin kaj forigu de ĉies oreloj tiun enuan babiladon. Kaj decidinte kion li intencas fari, kaj ordiginte ĉion, li atendis la okazon por efektivigi tion, kion li elpensis.

Kiel mi jam diris al vi, estis somere; kaj ekrimarkinte, ke preskaŭ ĉiuvespere tiuj ĉi blankaj pavoj pasas tra la strato, kie li havas sian hejmon (ĉar tute apude troviĝis du belaj junulinoj, kiuin ili amindumis), iutage li post vespermanĝo lokiĝis ĉe sia hejmpordo por spiri freŝan aeron. Kaj jen, post ne longe alvenis paradante la du amindumantoj. Nu, irinte renkonte al ili kaj preninte ambaŭ per la manoj, li diris al ili: «Vi estas miaj kaptitoj, kaj de ĉi tie vi ne foriros antaŭ ol ni trinkos kune glason da vino».

Ili akceptis la inviton kaj eniris lian domon; tie, ĉar la servisto volis lavi la glasojn, la eleganta junulo diris: «Mi proponas, ke ni malsupreniru en la kelon por trinki, ĉar tie estas pli malvarmete.

Kaj lumiginte kandelegon pro la malfrua horo kaj pro la mallumo de la kelo, ili malsupreniris.

Dum oni lavis la glasojn, la tri junuloj ekpromenis tra la kelo, kiu estis granda kaj vasta. Tie estis granda vazo plena je akvo, kiun Ia elegantulo estis lokiginta tien intence. Kaj ĉar ĝi ŝajnis tiel granda, ke ununura homo ne kapablus levi ĝin, li diris al siaj gastoi: “Mi havas unu el miaj servistoj, kiu kapablas meti tiun ĉi vazon sur siaj ŝultroj, kaj porti ĝin supren».

Unu el la dandoj, kiu sin taksis tre fortika, ne kapablante eĉ movi ĝin, diris: «Mi ne kredas, ke ununura viro kapablas porti tiom da pezo».

Kaj, interdiskutinte pri jes kaj ne, ili vetis ses parojn da grasaj perdrikoj.

Intertempe, ili trinkis, kaj venis iu, kiun la elegantulo estis invitinta tiucele, kaj li ekmovis la vazon, kaj metis ĝin sur siaj ŝultroj. La eleganta junulo, nenion alian dirante, ekiris tra la ŝtuparo supren; poste iris la servisto, kiu portis la kandelegon; postsekvis tiu, kiu havis la vazon surŝultre; kaj fine sekvis la blankaj kavaliroj ridante. La ŝtupoj estis altaj, kaj tiu, kiu portis la pezaĵon, iris tre malrapide, ŝajnigante esti tre ŝarĝita. Kiam li estis preskaŭ ĉe la supro de la ŝtuparo, li ŝajnigis puŝiĝi je io, mi ne scias kion, kaj li lasis iri la vazon tiamaniere, ke li, frapante ĝin kontraŭ la muron, ŝprucigis tion kio estas en la vazo, tiel ke ĝi pentris strange la vestaĵojn de la du junuloj. Tamen, tiel lerta estis la portisto, ke li tenis ĉiam la vazon sur siaj ŝultroj; ĉar, se li estus faliginta ĝin malsupren, li ne estus nur makulinta la tukojn. En la akvo, kiu estis metita en la vazon, estis solvitaj inko kaj koto, tiel ke tiuj, kiuj antaŭe estis tiel blankaj kiel ermenoj, tiam ŝajnis panteroj: tiel kotŝprucigitaj ili estis de la ŝprucoj de la skuita akvo, kaj de la miksaĵoj, kiuj estis en ĝi. La dommastro ŝajnigis treege koleri kontraŭ tiu, kiu portis la vazon, kaj montris sian intencon bati lin tre forte; sed li forkuregis kaj la du junuloj restis kun la domaĝo kaj la mokoj; kaj ili devis provizi sin per aliaj vestaĵoj, ĉar tiuj, kiujn ili surhavis, estis tute difektitaj.

 

Matteo Bandello, 9-a novelo de la tria libro, trad. Vincenzo Musella

(Itala Antologio, 1987, p. 182-184)

 

 

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