Personaggi

Giuseppe Garibaldi

Il 2 giugno ricorre la morte (nel 1882) del generale, patriota, politico e scrittore italiano Giuseppe Garibaldi (1807-1882)

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nato a Nizza quando quella città era italiana, noto come “l’Eroe dei Due Mondi” per le imprese militari compiute in Europa e nell’America meridionale, uno dei personaggi italiani più celebri nel mondo.

Il suo stesso cognome, e le sue vicende, hanno dato origine a parole e modi di dire nella lingua italiana; basti pensare a queste espressioni, non facilmente traducibili:

– “garibaldino” (non solo “soldato di Garibaldi”, ma anche “partigiano comunista”;

“alla garibaldina” (= con impeto, con slancio generoso ma avventato, ed anche in maniera improvvisata ed approssimativa);

– “parlare male di Garibaldi” (= parlar male, o dire verità sgradevoli, di persone o istituzioni unanimemente considerate sacre e intoccabili;

– le “camicie rosse”;

– la “Spedizione dei Mille”;

– “Obbedisco”;

– “O Roma o morte”.

A questo proposito, dato che su Garibaldi è stato detto tutto il bene possibile (fino quasi a trasformarlo in una figura idealizzata), segnalo che non tutti erano d’accordo, sebbene da allora, come si dice a Roma, “molta acqua sia passata sotto i ponti del Tevere”. Ad esempio, ecco la traduzione di che cosa scriveva la rivista cattolica esperantista “Espero katolika” nel numero di aprile 1912:

>In Italia sette segrete di carbonari, o la Giovane Italia ed altre mediante una rivoluzione, poi in combutta con il “governo piemontese”, hanno teso all’unità d’Italia; e poiché il Papa non voleva e non poteva rinunciare al potere temporale, per questo si è rivolto l’odio dei cosiddetti “italianissimi” contro la Sede Apostolica e la religione Cattolica, tanto che uno dei lori corifei – Garibaldi – non esitò a chiamare il Papa: il vampiro, ed il papato (il governo pontificio): il cancro d’Italia, e la religione cattolica: la rovina dell’umanità.

(A loro volta, i seguaci di Garibaldi provavano una tale avversione per la Chiesa cattolica che il monumento al generale eretto sul colle romano del Gianicolo mostra ostentatamente le spalle al Vaticano).

Ma venendo ai rapporti tra Giuseppe Garibaldi e la lingua internazionale, ovviamente bisogna tener conto che Garibaldi morì nel 1882, mentre l’Esperanto nacque dopo, nel 1887; ma ecco qui una “chicca”, tratta da “L’Esperanto” 1983-1,2:

>Come tanti precursori, persino Garibaldi «per dare forma concreta all’unione dei popoli, propone di tendere verso una lingua comune, cominciando a riavvicinare le lingue che hanno radici comuni, le lingue latine per esempio, e consiglia di non disperare (sic!) anche se sa che l’impresa è ardua».

>Siamo a circa dieci anni prima del 1887, anno di nascita dell’Esperanto.

>Ce n’è a sufficienza per conferirgli a posteriori un riconoscimento di «Esperantista ad honorem».

>La citazione riportata è estratta dall’articolo «Garibaldi europeo» della pronipote Anita (pag. 18 della rivista mensile «Comunità Europee» n. 11-12/82).

>Pier Marcello Tacconi

Trascrivo il brano del libro “Cuore” di Edmondo De Amicis per la morte di Giuseppe Garibaldi, in italiano e nella traduzione in Esperanto di Ettore Fasce, ed allego:

– l’immagine del francobollo emesso il 2 giugno 1982 dalle Poste Italiane per il centenario della morte di Giuseppe Garibaldi;

– la foto del monumento a Giuseppe Garibaldi, sul colle del Gianicolo a Roma.

 


GIUGNO

GARIBALDI

 

3, sabato. Domani è la festa nazionale

 

Oggi è un lutto nazionale. Ieri sera è morto Garibaldi. Sai chi era? È quello che affrancò dieci milioni d’Italiani dalla tirannia dei Borboni. È morto a settantacinque anni. Era nato a Nizza, figliuolo d’un capitano di bastimento. A otto anni salvò la vita a una donna, a tredici, tirò a salvamento una barca piena di compagni che naufragavano, a ventisette, trasse dall’acque di Marsiglia un giovanetto che s’annegava, a quarant’uno scampò un bastimento dall’incendio sull’Oceano. Egli combatté dieci anni in America per la libertà d’un popolo straniero, combatté in tre guerre contro gli Austriaci per la liberazione della Lombardia e del Trentino difese Roma dai Francesi nel 1849, liberò Palermo e Napoli nel 1860, ricombatté per Roma nel ‘67, lottò nel 1870 contro i Tedeschi in difesa della Francia. Egli aveva la fiamma dell’eroismo e il genio della guerra. Combatté in quaranta combattimenti e ne vinse trentasette. Quando non combatté, lavorò per vivere o si chiuse in un’isola solitaria a coltivare la terra. Egli fu maestro marinaio, operaio, negoziante, soldato, generale, dittatore. Era grande, semplice e buono. Odiava tutti gli oppressori; amava tutti i popoli; proteggeva tutti i deboli; non aveva altra aspirazione che il bene, rifiutava gli onori; disprezzava la morte, adorava l’Italia. Quando gettava un grido di guerra, legioni di valorosi accorrevano a lui da ogni parte. signori lasciavano i palazzi; operai le officine, giovanetti le scuole per andar a combattere al sole della sua gloria. In guerra portava una camicia rossa. Era forte, biondo, bello. Sui campi di battaglia era un fulmine, negli affetti un fanciullo, nei dolori un santo. Mille Italiani son morti per la patria, felici morendo di vederlo passar di lontano vittorioso migliaia si sarebbero fatti uccidere per lui; milioni lo benedissero e lo benediranno. È morto. Il mondo intero lo piange. Tu non lo comprendi per ora. Ma leggerai le sue gesta, udrai parlar di lui continuamente nella vita; e via via che crescerai, la sua immagine crescerà pure davanti a te; quando sarai un uomo, lo vedrai gigante, e quando non sarai più al mondo tu, quando non vivranno più i figli dei tuoi figli, e quelli che saran nati da loro, ancora le generazioni vedranno in alto la sua testa luminosa di redentore di popoli coronata dai nomi delle sue vittorie come da un cerchio di stelle, e ad ogni italiano risplenderà la fronte e l’anima pronunziando il suo nome.

TUO PADRE

 

JUNIO

GARIBALDI.

la 3an de junio. Morgaŭ estos nacia festotago.

 

Hodiaŭ estas nacifunebra tago. Hieraŭ vespere mortis Garibaldi. Ĉu vi scias, kiu estis li? Li estas tiu, kiu liberigis dek milionojn da Italoj de la tiraneco de Borbonoj. Li mortis sepdekkvinjara. Li naskiĝis en Nico, filo de ŝipestro. Kiam li estis nur okjara, li savis de morto virinon; kiam dektrijara, li tiris al savo boaton plenan de kamaradoj, kiuj estis dronantaj; je la aĝo de dudeksep jaroj, en Marsiljo, li eltiris elmare dronantan junulon; je kvardekunu, li savis ŝipon de brulego en la Oceano. Li batalis dek jarojn en Ameriko por la liberigo de alilanda popolo, batalis, okaze de tri militoj, kontraŭ la Aŭstroj, por la liberigo de Lombardio kaj de la Trentregiono, defendis Romon kontraŭ la Francoj en 1849, liberigis Palermon kaj Napolon en 1860, refoje batalis por Romo en 1867, luktadis en 1870 kontraŭ la Germanoj defende de Francujo. Li posedis la flamon de heroeco kaj la genion de la militarto. Li partoprenis kvardek batalojn kaj el ili venkis trideksep. Kiam li ne batalis, li perlaboris sian panon aŭ apartiĝis en soleca insulo por kulturadi la kamparon. Li estis instruisto, maristo, laboristo, komercisto, soldato, generalo, diktatoro. Li estis granda, simpla, bona. Li malamis ĉiujn subpremantojn, amis ĉiujn popolojn, protektis ĉiujn malfortulojn; li nur aspiris bonon, rifuzis honorojn, malŝatis mortotimon, tre amis Italujon. Kiam li disaŭdigis militkrion, legioj da bravuloj alkuris al li de ĉiuflanke; riĉuloj forlasis siajn palacojn, laboristoj siajn laborejojn, junuloj siajn lernejojn por kuri al batalado en la suno de lia gloro. Dumbatale li surportis ruĝan ĉemizon. Li estis forta, blonda, bela. Sur la batalkampo li agis fulmrapidece; en siaj afekcioj samkiel infano, en la doloroj kvazaŭ sanktule. Mil Italoj mortis por sia patrujo, feliĉaj vidi – dum ili mortis – lin preterpasi, de malproksime, kiel venkinton; miloj da ili estus sin mortigintaj pro li; milionoj da ili benis kaj benos lin. Li mortis. La tuta mondo priploras lin. Nuntempe vi tion ne komprenas. Sed vi legos pri liaj faroj, vi aŭdos senĉese paroli pri li dum via vivo, kaj ju pli vi kreskos, lia bildo pligrandiĝos antaŭ vi; kiam vi estos plenaĝulo, vi vidos lin gigante granda, kaj kiam vi plu ne vivos, kiam plu ne vivos la filoj de viaj filoj kaj tiuj de ili naskiĝintaj, ankoraŭ la generacioj vidos alte lian lumebrilan kapon de liberiganto de popoloj, kronitan de la nomoj de liaj venkoj kvazaŭ de stelaŭreolo, kaj al ĉiu Italo ekbrilos la frunto kaj la animo elparolante lian nomon.

VIA PATRO.

Edmondo De Amicis, Cuore (Koro), trad. Ettore Fasce

 

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