Il 27 agosto è l’anniversario della morte (nel 1590) dell’italiano (marchigiano) Felice Peretti (1521-1590),
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Papa con il nome Sisto V dal 24 aprile 1585 al 27 agosto 1590.
Pur avendo regnato per soli 5 anni, ha lasciato una forte traccia nella città di Roma, di cui rinnovò profondamente l’assetto urbanistico, con l’intenzione di renderla di nuovo centro universale del cattolicesimo, dopo la Riforma protestante e la Controriforma cattolica: aprì strade di grande comunicazione (in particolare, la via Sistina) per facilitare il “giro delle sette chiese” (le principali Basiliche romane); costruì imponenti edifici (tra l’altro, il nuovo Palazzo del Laterano e il Palazzo del Quirinale); realizzò grandiose opere pubbliche (tra l’altro, un nuovo acquedotto); completò la cupola michelangiolesca della Basilica di San Pietro in Vaticano; fece innalzare quattro obelischi egiziani (portati a Roma dagli antichi Imperatori), che da tempo giacevano a terra, collocandovi in cima la Croce di Cristo, quale segno della vittoria sul paganesimo (rispettivamente in Piazza San Pietro, Piazza San Giovanni, Piazza dell’Esquilino e Piazza del Popolo); restaurò la Colonna di Traiano e la Colonna di Marco Aurelio, ponendovi in cima, rispettivamente, una statua di San Pietro e una di San Paolo.
Per fare tutto questo, vendette cariche pubbliche ed impose forti tasse, tanto che quando morì (di malaria) l’avvenimento fu così registrato negli atti del Comune: «Hodie sanctissimus dominus noster Sixtus papa quintus, omnibus congratulantibus et maxima omnium laetitia, diem suum clausit extremum» (Oggi il nostro santissimo signore Sisto papa quinto, congratulandosi tutti e con la massima letizia di tutti, concluse il suo ultimo giorno).
Il ricordo di Sisto V è tuttora vivo in molti modi di dire romaneschi; ad esempio:
– quando si fa un giro penoso, si dice che si fa “il giro delle sette chiese”;
– poiché Sisto V affidò ai suoi conterranei delle Marche la riscossione delle imposte, si dice “meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta”;
– poiché fece a pezzi un Crocifisso di legno di cui si favoleggiava che buttasse sangue, esclamando “Come Cristo ti adoro, come legno ti spacco”, si dice “Papa Sisto non la perdonò neppure a Cristo”.
Sisto V aveva un carattere autoritario, spigoloso e decisionista; per questo, il popolo romano lo ricorda con l’appellativo (“il Papa tosto”) che gli dette il poeta dialettale romanesco Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863)
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in un famoso sonetto:
Fra tutti quelli c’hanno avuto er posto
de vicarj de Dio, nun z’è mai visto
un papa rugantino, un papa tosto,
un papa matto uguale a Papa Sisto.
E nun zolo è da di’ che dassi er pisto
a chiunqu’omo che j’annava accosto,
ma nu la perdunò neppur’a Cristo,
e nemmanco lo roppe d’anniscosto.
Aringrazziam’Iddio c’adesso er guasto
nun po’ succede più che vienghi un fusto
d’arimette la Chiesa in quel’incrasto.
Perché nun ce po’ èsse tanto presto
un altro papa che je piji er gusto
de mèttese pe nome Sisto Sesto.
Trascrivo (con traduzione in italiano) parte di un articolo pubblicato su “L’Esperanto” 1925-1, p. 3-4, a proposito dell’erezione in piazza San Pietro dell’obelisco proveniente dal Circo di Nerone, con l’impiego di quaranta argani, 800 uomini e 140 cavalli. Da notare che l’articolo parla di Piazza San Pietro “a Roma”, perché nel 1925 ancora non esisteva lo Stato della Città del Vaticano, che data dal 1929:
www.bitoteko.it/esperanto-vivo/2018/02/11/patti-lateranensi/
Chiarisco anche che sull’obelisco (ad esempio, datazione) e sui particolari dell’erezione esistono varie versioni ed aggiunte (ad esempio, sembra che il grido non sia stato in italiano, ma in dialetto ligure, “aiga ae corde!”; il capitano, il cui nome completo era Benedetto Bresca, propriamente non era di Genova, ma della città di San Remo, della stessa regione Liguria; ancora oggi i suoi discendenti hanno il privilegio di fornire alla Basilica di San Pietro i rami di palma per la Domenica delle Palme).
Allego
– una cartolina postale vaticana del 1949, con la Basilica di San Pietro; in primo piano, l’obelisco;
– un francobollo vaticano del 1953 (su bozzetto di Marco Colombati e Corrado Mezzana), con il ritratto di Sisto V e la cupola di San Pietro (che a Roma viene chiamata “er Cuppolone”, la Grande Cupola, con l’aggiunta che il vero romano è quello che “è nato all’ombra del Cupolone ed è stato battezzato a San Pietro”; ebbene, per una singolare circostanza, io – sebbene figlio di siciliani- sono nato a poche centinaia di metri dal Vaticano, e… sono stato battezzato proprio a San Pietro!)
Segue traduzione in italiano
La obelisko de placo S.ta Petro en Romo
La monolita obelisko devenas, kiel ĉiuj aliaj, de Egipto, kie ĝi estis kredeble eltranĉita el granita ŝtonego ĉirkaŭ dek jarcentojn antaŭ la naskiĝo de Kristo.
De Heliopolis, la urbo de la obeliskoj, oni ĝin portis al Romo en la jaro 41 p. K. laŭ ordono de imperiestro Cajus Caligola, kiu ĝin starigis en la Nerona Cirko dediĉante ĝin al Aŭgusto kaj Tiberio.
La obelisko restis sendifekta, sed forlasita kaj preskaŭ enterigita ĝis la jaro 1586, kiam papo Siksto V ordonis al la fama arkitekturisto Domenico Fontana transloki ĝin mezen de la placo de S.ta Petro, antaŭ la granda Baziliko.
Fontana efektive plenumis la translokon kaj la starigon de la granda pint- monolito; tio estis vera gravaĵo en tiu epoko.
Oni rakontas ke, por ke la malfacila laboro de la starigo de la obelisko povu esti plenumata sen konfuzo, la papo publikigis avizon, per kiu li sciigas, ke kiu ajn kuraĝus elparoli nur unu krion aŭ kaŭzi malordon dum la stariglaboro, tiu estu mortpunita.
Oni komencis la laboron, sed, malgraŭ ĉiuj rimedoj uzitaj, oni tre penadis starigi la obeliskon. Je certa momento la ŝnuroj, sekaj kaj tre varmaj pro frotado, estis rompiĝontaj.
Tiumomente oni aŭdis krion el la silenta popolamaso: «Akvon al la ŝnuroj!». La arkitekturisto profitis je ĉi tiu konsilo, akvumis la ŝnuregojn kaj la obelisko estis tuj starigita.
La viro, kiu estis kriinta, estis Ĝenova ŝipkapitano nomita Bresca. La papo, anstataŭ puni lin, plenegigis lin je donacoj kaj je privilegioj, kiujn liaj idoj ankoraŭ ĝuas.
Esp. Ermanno Filippi (“L’Esperanto” 1925-1, p. 3-4)
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Traduzione:
L’obelisco di Piazza San Pietro a Roma
L’obelisco monolitico proviene, come tutti gli altri, dall’Egitto, dove si suppone sia stato ricavato da una roccia granitica circa dieci secoli prima della nascita di Cristo.
Da Heliopolis, la città degli obelischi, fu portato a Roma nel 41 d. C., per ordine dell’imperatore Caio Caligola, che lo pose nel Circo di Nerone dedicandolo ad Augusto e Tiberio.
L’obelisco rimase intatto, ma abbandonato e quasi interrato fino al 1586, quando papa Sisto V ordinò al famoso architetto Domenico Fontana di trasferirlo al centro di Piazza San Pietro, davanti alla grande Basilica.
Fontana effettivamente compì il trasloco e l’erezione del grande monolite a punta; si trattò davvero di una grande impresa, a quell’epoca.
Si racconta che, affinché il difficile lavoro dell’erezione dell’obelisco potesse essere compiuto senza confusione, il papa pubblicò un avviso, con il quale avvertiva che chiunque avesse osato emettere un solo grido o provocare disordine durante l’erezione sarebbe stato punito con la morte.
Si iniziò il lavoro, ma nonostante tutti i mezzi usati, si faceva una grande fatica a tirare su l’obelisco. Ad un certo momento le corde, secche e molto calde per l’attrito, stavano per rompersi.
In quel momento si udì un grido dalla folla: «Acqua alle corde!». L’architetto fece tesoro di quel consiglio, bagnò le corde e l’obelisco fu subito innalzato.
L’uomo che aveva gridato era un capitano marittimo genovese, di nome Bresca. Il papa, anziché punirlo, lo ricolmò di doni e di privilegi, di cui i suoi discendenti ancora godono.
Ermanno Filippi (“L’Esperanto” 1925-1, p. 3-4)
retroversione in italiano di Antonio De Salvo