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Lissa-Von Tegetthoff

Il 20 luglio 1866 ebbe luogo la battaglia navale di Lissa (Vis in croato), un’isola della Dalmazia di fronte a Spalato/ Split
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it.wikipedia.org/wiki/Lissa_(isola)
tra la Imperial-Regia Marina da Guerra austro-ungarica (K.u.K Kriegsmarine) e la Regia Marina del neonato Regno d’Italia, alleato con la Prussia.
La valutazione di questa battaglia è molto diversa, a seconda del Paese:
– nei territori ex austro-ungarici, è considerata una grande vittoria imperial-regia (la Marina italiana perse due grandi navi – la Re d’Italia e la Palestro – ed ebbe 620 morti e 161 feriti, mentre la Marina austro-ungarica non perse alcuna nave, ed ebbe 38 morti e 138 feriti).
Il ricordo di Lissa fu utilizzato dall’Imperatore Francesco Giuseppe nel proclama che rivolse ai suoi popoli quando l’Italia entrò in guerra contro l’Austria-Ungheria nel 1915 («Der neue hinterlistige Feind des Südens ist für euch sicherlich kein neuer, unbekannter Gegner. Die großen Erinnerungen von Novara, Mortara, Custoza und Lissa, der Stolz meiner Jugend, und der eiserne Wille von Radetzky, Erzherzog Albert und Tegetthoff, der in meinen Streitkräften zu Wasser und Land fortelbt, sind meine Garanten, dass wir auch im Süden erfolgreich die Grenzen der Monarchie verteidigen werden. = Il nuovo perfido nemico del sud non è certamente per essa un avversario nuovo, sconosciuto. Le grandi memorie di Novara, Mortara, Custoza e Lissa, l’orgoglio della mia gioventù, e la ferma volontà di Radetzky, dell’Arciduca Alberto e di Tegetthoff, che continua a vivere nelle mie forze armate di mare e di terra, mi sono garanti che anche al sud difenderemo con successo i confini della Monarchia»);
– in Croazia, è considerata ugualmente una grande vittoria, ma croata, perché molti dei marinai della Marina austro-ungarica erano dalmati e istriani (nel nuovo monumento ai caduti, recentemente eretto a Lissa, sono stati espunti tutti i nomi italiani; e la targa commemorativa, che invita alla pace in Adriatico, è solo in croato e in tedesco, non anche in italiano);
– in Veneto, è considerata l’ultima grande vittoria veneziana (nel 1797 i territori della Repubblica di Venezia – Veneto, Istria e Dalmazia – erano passati all’Austria; fino al 1849, il nome ufficiale della Marina Imperial-Regia era “Oesterreich-Venezianische Marine”, cioè Marina Austriaca-Veneziana; la lingua comunemente usata sulle navi imperial-regie era il veneziano; è rimasto famoso l’incitamento in veneziano rivolto dall’Ammiraglio austriaco Wilhelm Von Tegetthoff
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che aveva studiato al Collegio Marinaro di Venezia, al timoniere italiano Tomaso Penso da Chioggia perché speronasse una nave italiana: “…daghe dosso, Nino, che la ciapemo!” cioè “dagli addosso, Nino, che la prendiamo!”; al termine della battaglia, i marinai “imperial-regi” lanciarono in aria i berretti gridando “San Marco! San Marco!”);
– nel resto d’Italia, è ricordata (poco, per la verità) come una sconfitta non grave (Gabrele D’Annunzio parlò di una “gloriuzza di Lissa”), dovuta non a mancanza di valore dei combattenti, ma all’inettitudine dell’Ammiraglio italiano Carlo Pellion di Persano (che fu processato e condannato)
Esiste anche il dubbio che un’inchiesta seria avrebbe potuto scoprire ben altro (si parlò di bronzo dei cannoni di cattiva qualità, polvere avariata, corazze troppo sottili, e simili imbrogli dei fornitori).
Un elemento non secondario della sconfitta fu il fatto che i marinai italiani non si capivano tra di loro: la Regia Marina italiana era composta di uomini delle ex Marine del Regno di Sardegna (in particolare, Genova), del Granducato di Toscana, del Regno delle Due Sicilie, e dei territori da poco annessi già appartenenti allo Stato Pontificio; è facile immaginare con quanta difficoltà l’Ammiraglio Persano, nato nella provincia dell’entroterra piemontese di Vercelli (e per questo sprezzantemente chiamato “l’Ammiraglio delle risaie”), riuscisse a comunicare con marinai liguri, sardi, napoletani, siciliani, pugliesi, abruzzesi, marchigiani, romagnoli, in un’epoca in cui la lingua italiana (la variante toscana) era parlata da pochissimi italiani (perfino il Re d’Italia Vittorio Emanuele secondo parlava preferibilmente in francese o in piemontese, così come l’ex Re di Napoli Francesco secondo parlava in napoletano);
– la cosa più singolare, però, è un’altra: l’inno dei fanti di Marina italiani (appartenenti ad un corpo scelto simile a quello dei “Marines” statunitensi, specialmente addestrati per la difesa della laguna veneta e per questo chiamati “lagunari”) richiama Lissa come un fatto glorioso: “Come a Lissa, così a Premuda, impugneremo la spada nuda…”. Evidentemente, ci si riferisce al fatto che i lagunari sono gli ideali continuatori dei “Fanti de mar” della Repubblica di Venezia.

Una sorte travagliata è toccata a quasi tutti i monumenti eretti in ricordo della battaglia e/ in onore di Von Tegetthoff.
Solo quello di Vienna (la città dove Von Tegetthof morì) è rimasto come e dove era.
Un monumento alla memoria dei caduti austriaci – opera dello scultore triestino Leone Battinelli – fu innalzato nel 1867 nel cimitero di Lissa: esso rappresentava un leone coricato morente (che ricordava quello di San Marco) il quale stringeva negli artigli una bandiera austriaca; sui lati del basamento erano scolpiti i nomi dei caduti.

Quando, al termine della prima guerra mondiale, le truppe italiane presero possesso di una parte della Dalmazia (tra cui l’isola di Lissa), al monumento ai caduti furono aggiunte due placche: “Italia vincitrice” e “Novembre 1918”.
Poi, però, la maggior parte della regione venne annessa al nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (Jugoslavia); allora il monumento venne smontato e trasferito a Livorno, presso l’Accademia Navale italiana (e la Croazia ne rivendica tuttora la restituzione).
Il monumento a VonTegetthoff eretto a Pola/ Pula (la principale base navale austriaca) fu smontato quando l’Istria fu annessa al Regno d’Italia, e nel 1935 fu collocato a Graz (Austria).
Il monumento a Von Tegetthoff eretto a Marburg (un tempo nella Stiria austriaca, oggi Maribor in Slovenia, città natale dell’Ammiraglio: curiosamente, anche lui era nato nell’entroterra) fu distrutto dagli sloveni nel 1921, nel quadro della slovenizzazione della città.

​Quanto ai rapporti con l’Esperanto, evidenzio anzitutto la questione della lingua comune, sia nel quadro di uno Stato multietnico, quale l’Impero Austro-Ungarico, sia nell’ambito di un Paese con forti differenziazioni regionali, quale l’Italia (dove la lingua italiana “standard” è tuttora, per moltissimi, la seconda lingua, che si studia – e non senpre si impara – a scuola ma non si usa nella vita di ogni giorno); aggiungo che – come si vide a Lissa – una lingua comune è un elemento fondamentale per una coesione operativa.
Inoltre, nel romanzo “I Malavoglia” di Giovanni Verga it.wikipedia.org/wiki/I_Malavoglia
pubblicato nel 1881 a poca distanza dagli avvenimenti, si parla della battaglia di Lissa; nella traduzione in Esperanto del 2006 ad opera di un gruppo di Padova (Giancarlo Rinaldo, Anselmo Ruffatti, Paola Tosato) con il titolo “La Malemuloj”, Edistudio 2006, la descrizione occupa le pagine 134-138.
​Allego:
– una vecchia cartolina austriaca per l’ammiraglio von Tegetthoff;
– la copertina de “La Malemuloj”.

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