Personaggi

Cavallo di Troia

Il 24 aprile 1184 a.C. è, secondo la tradizione, la data in cui i Greci penetrarono nella città di Troia e la distrussero, ingannando i Troiani con un cavallo di legno,
it.wikipedia.org/wiki/Cavallo_di_Troia
appunto il “cavallo di Troia”, rimasto nella cultura occidentale come espressione per indicare un sotterfugio per introdursi subdolamente in un ambiente estraneo; oggi, l’espressione è di uso comune per denominare un virus informatico.
L’episodio ha lasciato una traccia anche nell’espressione “Timeo Danaos et dona ferentes”, temo i Greci anche quando portano doni (Eneide 2, 49), che si usa per mettere in guardia contro le apparenti riconciliazioni.
Meno conosciuta è un’altra derivazione linguistica: in italiano, la femmina del porco si chiama volgarmente “troia”, in ricordo di un piatto romano, il “porcus troianus”, porco ripieno alla maniera del cavallo di Troia; è una etimologia malignamente falsa, invece, quella che popolarmente mette in relazione la “troia” (femmina del porco, ma in senso figurato anche “puttana”) con la supposta scarsa virtù di Elena di Troia.
Di Troia e di Heinrich Schliemann ho parlato il 26 dicembre 2018.

Heinrich Schliemann


La vicenda del cavallo di Troia è talmente nota che non è necessario ripeterne il racconto; dirò soltanto che essa è menzionata, più o meno ampiamente:
– nell’Odissea, canto VIII;
– nell’Eneide, canto II;
– nella tragedia “Agamemnon” (Agamennone) di Lucio Anneo Seneca il Giovane (Lucius Annaeus Seneca): v. 628: “Danaumque fatale munus”- il dono fatale dei Danai);
– nella “Divina Commedia” di Dante Alighieri:

(Inferno 26, 55-60)

Là dentro si martira
Ulisse e Diomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l’ira;

e dentro da la lor fiamma si geme
l’agguato del caval che fé la porta
onde uscì de’ Romani il gentil seme.

°°°
(Inferno 30, 98)

l’altr’ è ‘l falso Sinon greco di Troia:

°°°°°
Trascrivo il brano del canto VIII dell’Odissea, nelle traduzioni in italiano di Ettore Romagnoli e in Esperanto di W.J.A. Manders; il testo greco può essere consultato su it.wikiversity.org/wiki/Elwikisource:%CE%9F%CE%B4%CF%8D%CF%83%CF%83%CE%B5%CE%B9%CE%B1/%CE%B8
Allego:
– un francobollo turco del 1956 con il cavallo di Troia;
– il frontespizio della versione in Esperanto dell’Odissea.


E poi che fu sedata la brama del cibo e del vino,
Ulisse, il sire tutto scaltrezza, a Demòdoco disse:
«Te piú che ogni altro onoro, Demòdoco: o sia che la Musa
figlia di Giove t’abbia nel canto addestrato, od Apollo.
Mirabilmente tu sai cantar degli Achei le sciagure,
quanto operaron, quanto patiron, soffrirono in guerra,
come se stato fossi presente, o se alcuno di loro
lo avesse a te narrato. Cambia ora argomento; e il cavallo
narra, l’ordigno di legno ch’Epèo con Atena costrusse,
e nella rocca Ulisse divino con frode l’addusse,
d’uomini avendolo empiuto, che Troia poi misero a sacco.
Se tutto questo saprai per ordine a me tu narrare,
súbito andrò dicendo fra tutte le genti del mondo
che a te concesse il Nume la grazia divina del canto».
Disse. E il poeta svolse, movendo dal Nume, il suo canto.
Dal punto incominciò che sopra le navi gli Argivi
ascesi, e date al fuoco le tende, si misero in mare.
E Ulisse, in Troia già, nascosto al cavallo nel grembo,
era coi suoi compagni, già stretti i Troiani a consesso,
che aveano entro la reggia condotta essi stessi la fiera.
Qui stava. E intorno ad essa, fra varie sentenze i Troiani
eran perplessi: e tre parean prevalere su l’altre.
O di spaccar con la furia del bronzo quel concavo legno,
o di scagliarlo giù per le rupi dal sommo dell’arce,
oppure, insigne pregio, lasciarlo in omaggio ai Celesti.
E sovra gli altri dovea prevalere quest’ultimo avviso:
ch’era per essi fatale soccomberà quando la rocca
avesse accolto il grande cavallo di legno, ove tutti
eran gli Argivi piú forti, forieri di morte ai Troiani.
E cantò poscia come, gli Achei, dal cavallo balzati,
lasciato il cavo agguato, la rocca mettevano a sacco.
Cantò come chi qua chi là saccheggiarono Troia,
e come Ulisse, insieme col pari agl’iddíi Menelao,
simile a Marte, piombò di Deífobo sopra la casa:
narrò come la guerra più dura egli quivi sostenne,
e la vittoria a lui consenti la magnanima Atena.
Cosí dunque cantava l’insigne poeta. Ed Ulisse
struggeasi; e il pianto giù dal ciglio bagnava le guance.

Omero, “Odissea”, VIII, trad. Ettore Romagnoli, 1926

°°°°°

485 Sed kiam ili estis kontentigintaj sian avidon al trinko kaj manĝo,
tiam parolis al Demodokos la elpensema Odusseus:
“Demodokos, supermezure mi laŭdas vin super ĉiuj mortidevuloj.
Vin ja instruis ĉu la Muzo, la filino de Zeus, ĉu Apollon.
Ĉar ege konvene vi prikantas la malbonsorton de la Achaioj
490 [kiom la Achaioj faris kaj suferis kaj kiom ili penis,]
kvazaŭ vi estus ĉeestinta mem aŭ ĝin aŭdinta de iu alia.
Sed nu do, transiru nun al alia temo kaj prikantu la ordigon de la ligna
ĉevalo, kiun per helpo de Athene Epeios fabrikis,
kaj kiun iam la dieca Odusseus ruze portis sur la akropolon,
495 post kiam li estis ĝin per viroj pleniginta, kiuj estas ruinigintaj Ilion.
Se vi al mi ĉi ĉion konvene rakontinta estos,
tiam mi tuj sciigos al ĉiuj homoj, ke iu bonvola Diaĵo
al vi havigis la diinspiritan kantadon”.
Tiel li parolis, kaj ekkantis la kantisto, inspirite de Diaĵo
500 kaj li sonigis la kanton, komencante je tio, kiel la Argeioj,
ekbruliginte la tendojn, iris sur la bonferdekajn ŝipojn kaj forveturis,
kaj kiel la aliaj kun la glorriĉa Odusseus jam sidis basita
en la ĉevalo meze de la kunvenintaj Troianoj;
ĉar la Troianoj mem ĝin estis trenintaj sur la akropolon.
505 Tiel ĝi tie staris, kaj la Troianoj, ĉirkaŭ ĝi sidante,
priparoladis senorde ĉiajn planojn. Trispeca plano plaĉis al ili:
ĉu disbategi per la senkompata kupro la kavan lignan egaĵon,
ĉu ĝin treni ĝis la supro de la akropolo kaj tiam faligi de la rokoj,
ĉu ĝin lasi stari kiel grandan dediĉaĵon por esti repaciga rimedo por la Dioj,
510 kiel do ankaŭ poste estis okazonta:
ĉar estis al la urbo destinite perei, kiam ĝi havus interne de la muregoj
la grandan lignan ĉevalon, en kiu sidis ĉiuj plej kuraĝaj el la Argeioj,
portante la morton kaj pereon al la Troianoj.
Plue li kantis kiel la filoj de la Achaioj, elrapidinte el la ĉevalo
515 kaj forlasinte la kavan embuskon, ruinigis la urbon.
Ankaŭ li kantis ke ili, irante de unu loko al la alia, ĝisfunde detruis
la alte kuŝantan urbon, sed ke Odusseus, simila al Ares,
kun la disimila Menelaos iris al la domo de Deiphobos.
Kaj diris la kantisto, ke ĉi tiu estis tie malevitinta la plej teruran militon
520 kaj fine ankaŭ venkinta per helpo de la grandanima Athene.
Tion prikantis la glorriĉa kantisto; sed Odusseus
kormoliĝis, kaj de sub liaj okulharoj malsekigis larmoj liajn vangojn.

Homeros, “Odusseias” (Odiseado), 8-a kanto, trad. W.J.A. Manders, 1924

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