Il latino semplificato(Roberto Diana, Il Messaggero di Sant'Antonio, marzo 1993)Siamo ad un passo dalla realizzazione di un sogno antico: un'Europa dall'Atlantico agli Urali. I romani non riuscirono ad andare oltre l'Elba e il Dnestr, Carlo Magno si accontentò di attestarsi nell'Europa occidentale, il cristianesimo andò oltre, ma rimase frantumato per i contrasti dottrinali; la lingua latina invece, pur non essendo più la lingua imperiale, fu usata da tutte le persone con un po' di cultura in tutto il continente fino al secolo scorso. Essa contribuì a creare una coscienza comune tra i popoli europei, malgrado le divisioni politiche.L'educazione dei ragazzi prevede il bilinguismo obbligatorio dalle scuole medie in poi. Ma si sa che non basta. La seconda lingua non è quella universale, per cui in occasione di ricerche scientifiche, di incontri internazionali, di viaggi, di inchieste giornalistiche, occorrono i traduttori, che costituiscono un pedaggio non solo dal punto di vista economico, ma anche per i fraintendimenti che possono creare, e per il tempo che fanno perdere.L'intesa di chi può capirsi direttamente con l'interlocutore è certo migliore di quella di chi deve servirsi di un interprete, come è diversa una ricerca fatta direttamente sulle fonti rispetto ad una compilazione basata su informazioni di seconda mano.Si può quindi capire la recente rinuncia dell'Olanda alla propria lingua, in favore dell'inglese. L'inglese è madrelingua di 360 milioni di persone, l'olandese di 20. Ma rinunciare alla propria lingua, vuol dire anche perdere qualcosa della propria identità storica, per cui nessun paese slavo, ad esempio, accetterebbe oggi di spogliarsi della propria lingua a favore di un'altra, neanche se ciò gli desse un vantaggio economico. Negli incontri internazionali è prevista la traduzione simultanea in due o più lingue, in genere inglese, francese, tedesco, spagnolo, anche russo se sono presenti delegati dell'est. Ma oggi per molti paesi dell'est il primato del russo non è più accettabile.Anche per l'inglese ci sono dei problemi. Le sfumature regionali di pronuncia rendono difficile l'intercomprensibilità, e l'americano è ormai una lingua a parte. Un cattolico che va da Londra a New York deve cambiare «messale», perché negli Stati Uniti le versioni dei testi liturgici e della Bibbia sono molto diverse da quelle inglesi. Le Conferenze episcopali dei due paesi considerano evidentemente ormai non più realistico concordare delle traduzioni comuni.La religione cristiana si basa su Bibbia e tradizione. La parola di Dio è sacra e immutabile. Deve essere trasmessa nella sua integrità, senza alterazioni o fraintendimenti. I teologi e i fedeli hanno l'obbligo di restare entro i «termini» che la chiesa ha definito. Le lingue correnti, per la loro mutabilità, sono poco adatte a salvaguardare le verità religiose, e la chiesa ha privilegiato il latino, istituzionalizzandone una forma che essa stessa ha contribuito a plasmare. Questa particolare forma ecclesiastica del latino, essendo molto vicina a quella medioevale usata dai dotti, ha permesso scambi in tutta l'Europa, ed è diventata potente veicolo di cultura. Nel XVI secolo cominciò ad incrinarsi la Fiducia nella chiesa, ma il latino conservò il suo prestigio. Solo nel secolo scorso, l'emergere di una mentalità relativistica ha dato una spallata al latino in quanto lingua «normativa», lasciandogli solo illustro di raffinata lingua archeologica.Giovanni XXIII fu papa saggio e preveggente. Basti pensare che fu lui a dar avvio al concilio Vaticano Il. Ebbene proprio papa Giovanni, con la costituzione apostolica veterum sapientia del 22 febbraio 1962, lanciò un forte richiamo per il mantenimento dello studio del latino nei seminari e nelle università ecclesiastiche. Ma egli auspicò anche che il latino potesse essere usato nei rapporti tra i cristiani.Egli definì il latino non solo «aurea veste della sapienza della chiesa», ma «lingua per tutti utile, in quanto universale, imparziale, rispettosa delle minoranze, chiave d'accesso ai tesori della cultura dei padri».Non fu ascoltato, ma è tipico dei veggenti veder riconosciuta la giustezza delle proprie idee solo nel prosieguo del tempo.Adesso le liturgie, espresse quasi esclusivamente in lingue locali, non hanno più le caratteristiche di universalità che la Pentecoste aveva annunciato, le versioni della Bibbia in «lingua corrente» diventano obsolete prima di poter essere assimilate, il risorgere dei nazionalismi enfatizza in senso antagonistico i linguaggi, nei consessi internazionali si costituiscono sottogruppi secondo i parlanti, e in genere i membri dei paesi ricchi sono da una parte, quelli dei paesi poveri dall'altra!Il latino evitava queste anomalie. Perché allora è stato abbandonato? Una delle ragioni è che, se insegnato nella sua forma classica, è piuttosto difficile. Occorrono almeno tre anni per impararlo mentre la gente ha fretta ed è allettata dai vantaggi immediati che le lingue moderne possono offrire. Bisognerebbe semplificare il latino. È fattibile? Se si tien conto che nemmeno nel latino del periodo aureo c'erano regole assolute, che vi erano fluttuazioni nell'uso dei casi e delle desinenze, che la gente non si sentiva obbligata dai costrutti proposti dai puristi, che i verbi deponenti erano un arcaismo già ai tempi di Augusto, ecc., bisogna rispondere di sì. Ma come?L'idea di semplificare il latino non è nuova. Ci pensò ad esempio Leibniz nel 1679, immaginando una lingua con una sola declinazione e una sola coniugazione, organizzata in modo regolare. Il manoscritto venne pubblicato nel 1903, da un matematico francese, Louis Couturat.Il tentativo comunque più completo e credibile è di Giuseppe Peano, matematico insigne, professore di calcolo infinitesimale all'università di Torino, nato a Tetto Galant vicino a Cuneo nel 1858, morto a Torino nel 1932.Per il suo "latino sine flexione» all'estero è conosciuto e citato, da noi sì e no che qualcuno ricordi che esistono dei postulati matematici con il suo nome. L'unica biografia è stata scritta da un americano. È giusto quindi che lo ricordiamo. Peano si era interessato del volapük, la lingua internazionale inventata da Martin Schleyer nel 1879, ma quando vennero pubblicati i manoscritti di Leibniz capì che una lingua naturale ha una sua logica intrinseca che la rende superiore a quelle artificiali come il volapük o l'esperanto, e si buttò con entusiasmo a lavorare per la semplificazione del latino. Nel 1909 aveva già pronta la prima edizione del «Vocabulario commune ad linguas de Europa», che divenne poi, nel 1915, «Vocabulario commune ad Latino, Italiano, Français, English, Deutsch, pro usu de interlinguistas».Peano basò la semplificazione del latino sui seguenti principi:I. L'alfabeto latino letto alla maniera antica è perfettamente fonetico: ad ogni lettera corrisponde un suono. Non ci sono difficoltà di pronuncia. Questo avvantaggia il latino rispetto all'inglese e ad altre lingue moderne.II. Non occorrono complicate regole grammaticali per parlare o comprendere una lingua. Ad esempio basta il soggetto e un avverbio per esprimere la funzione di un verbo, ed è sufficiente la posizione per distinguere il soggetto dal complemento oggetto.III. Nelle lingue occidentali moderne esiste un fondo comune di parole latine, o derivate dal latino, ed eventualmente dal greco latinizzato, sufficiente per creare un vocabolario comprensibile a prima vista da italiani, spagnoli, inglesi, francesi, tedeschi, russi, che abbiano una cultura media-superiore.Peano fu un grandissimo matematico. Era dotato di una intelligenza superiore, che colpì Bertrand Russel quando lo incontrò per la prima volta ad un congresso. Scrive Russel: “Mi resi conto che Peano era sempre più preciso degli altri; ciò dipendeva dalla sua intelligenza e dalla logica matematica». Ma proprio l'estrema logicità non giovò al suo progetto linguistico, Il «latino sine flexione» è comprensibile a prima vista, ma per parlarlo occorre molta riflessione. Non ci sono alternative, non ci sono margini per la fantasia. Se non si controlla continuamente come si dice quel che si vuoi dire, si rischia di essere fraintesi. Volendo riprendere il progetto di Peano, bisognerebbe procedere in modo meno radicale, lasciando al latino almeno qualcosa delle declinazioni e delle coniugazioni, che sono la base della sua flessibilità e specificità.Un progetto di semplificazione del latino non può che incontrare oggi due tipi di oppositori. Da un lato molti latinisti che, conoscendo perfettamente il latino, non potrebbero accettare che venga «imbarbarito» con delle semplificazioni, per loro inutili. Dall'altro le ormai molte persone che, conoscendo l'inglese, ritengono che debba bastare. Per queste ultime valga l'osservazione che non esiste un unico inglese. Gli informatici, i medici, gli artisti, gli economisti, ecc. ognuno ha il proprio inglese, con espressioni tecniche intraducibili per i non addetti ai lavori. Nessuno si sogna di sostituire questi linguaggi specializzati. Ma per persone comuni che vogliano poter parlare dei loro problemi, dei loro destini, in forma semplice e facilmente comprensibile, un po' di latino semplificato potrebbe forse anche risultare provvidenziale.