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Chiusura o apertura?

Alla mezzanotte del 19 settembre 1958 (cioè, a partire dal 20 settembre 1958) vennero chiusi in Italia 560 bordelli autorizzati, che ospitavano quasi 3.000 prostitute: era l’effetto della legge 20 febbraio 1958, 75, conosciuta come “Legge Merlin” dal nome della senatrice socialista Angelina (detta Lina) Merlin, che se ne fece promotrice
it.wikipedia.org/wiki/Lina_Merlin
Ricordo indirettamente quella vicenda, perché alla fine di agosto 1958 (quando avevo soltanto 16 anni, e quindi “non avevo l’età” per certe cose) mi trovavo a Palermo, per il 29° Congresso italiano di Esperanto; e non capivo perché (me lo spiegarono dopo) ogni tanto qualche maschio della comitiva si eclissava nei vicoli: approfittava delle ultime occasioni…
In teoria, secondo le leggi (la prima era del 1859), i bordelli autorizzati dallo Stato dovevano rimanere anonimi e discreti, ma in realtà erano ben noti, sia per un ovvio fenomeno di “passaparola”, sia perché proprio le rigide regole stabilite per mimetizzare i bordelli li rendevano facilmente riconoscibili: infatti, avevano l’obbligo di tenere costantemente chiuse le persiane, le tende e le finestre, per cui era facile dedurre che cosa si faceva dietro di esse.
Quell’obbligo di chiusura spiega perché i bordelli (definiti burocraticamente “case di tolleranza”, perché, con una formula ipocrita, lo Stato faceva finta di solo “tollerarli”, sebbene invece si curasse perfino di stabilire i prezzi delle varie prestazioni) erano eufemisticamente chiamati “case chiuse”. A questo riguardo, con un gioco di parole si potrebbe dire che, con la loro abolizione, quelle case furono al tempo stesso “chiuse” ed “aperte”.
Trascrivo un sonetto del poeta romanesco Carlo Alberto Salustri (Trilussa) del 1922, in cui un giudice interroga una prostituta, domandandole che professione abbia; la donna si limita a rispondere “abito al numero 106 di via Tomacelli”, indirizzo evidentemente ben noto; e alla domanda perché sia stata processata “a porte chiuse” (cioè senza la presenza del pubblico, per motivi di moralità) risponde: “Perché tenevo le finestre aperte”.
Immagine: lapide posta a Padova in memoria della senatrice Lina Merlin:
La città di Padova
a ricordo di
LINA MERLIN
(1887-1979)
parlamentare che promosse
per tutta la vita
la dignità
e l’avanzamento sociale
delle donne e dei più deboli.
15 dicembre 2004


DAR PRETORE
(da “Sonetti”, 1922)

Vi chiamate? — Fanny. — Di professione?
— Abbito a Tomacelli, centosei…
— Brava! Quant’anni avete? — Faccia lei…
— Vostro marito fu? — Fu ma birbaccione!

— Ma fu Pietro o Pasquale?… — Nun saprei:
lo conobbi a lo scuro, in d’un portone…
— Secondo ciò che ha detto un testimone
fate un brutto mestiere, anzi direi…

— Sì, n’avrò fatte… più de Carlo in Francia:
ma mó so’ vecchia, ho voja a mette scuse!
oramai me contento de la mancia.

— E allora come va che insieme a certe…
vi fecero un processo a porte chiuse?
— Perché tenevo le finestre aperte.

Trilussa (Carlo Alberto Salustri)
(“Tutte le poesie di Trilussa”, Mondadori, 1995, p. 41)

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