Personaggi

Arnaldo Fusinato

Il 25 novembre ricorre il secondo centenario della nascita del poeta e patriota veneto (di Schio, in provincia di Vicenza) Arnaldo Fusinato (1817-1888) it.wikipedia.org/wiki/Arnaldo_Fusinato
famoso soprattutto per la poesia “L’ultima ora di Venezia”, che parla della eroica ma vana difesa di Venezia contro gli Austriaci nel 1848, con i versi che un tempo gli scolari italiani imparavano a memoria:
Il morbo infuria, il pan ci manca,
sul ponte sventola bandiera bianca.
it.wikisource.org/wiki/L'ultima_ora_di_Venezia
www.youtube.com/watch?v=06NgKLgimGI (legge Arnoldo Foà).
In Esperanto esiste soltanto la versione di una poesiola spiritosa (“Bettina in città”- Betnjo en la urbo), tradotta da Alessandro Mazzolini e pubblicata nella “Itala Esperanta Revuo” 1923-2, febbraio 1923, pagg. 24-25; la poesia fu riprodotta in “Literatura Mondo” 1937-6, p. 163.
​La trascrivo, unitamente al testo originale in italiano, ed allego l’immagine del suo busto a Schio.


BETTINA IN CITTÀ

Benvenuta! benvenuta!
T’è piaciuta – la città?
Via raccontaci un momento
le tue cento novità.

Fortunata la Bettina
che s’è fatta cittadina!
– In città, non c’è che dire,
si sta meglio che al villaggio,
pur che giungasi a capire
quello strambo di linguaggio;
che vi parlano in tal guisa
da scoppiarne dalle risa.

Hanno un gergo cosi strano,
che, scommetto, nol comprende,
neanche il nostro Cappellano…
E sì ch’elli se n’intende!
Ve lo giuro in fede mia,
non si sa che lingua sia.

L’un diceami I’altro giorno
ch’io risplendo come un astro,
che il mio seno è fatto al torno,
che il mio collo è d’alabastro,
e, che il cielo me ne guardi,
ho due freccie negli sguardi.

La mia voce, a sentir loro,
è la voce d’un liuto,
le mie treccie sono d’oro,
la mia pelle è di velluto,
e la bocca, a quel che c’han detto,
è di perle uno scrignetto.

Un orribile figuro
con un naso lungo un braccio,
mi diceva a muso duro
che impastata io son di ghiaccio,
perché un dì lo persuasi
ch’io non amo i brutti nasi.

E un signor che a quando a quando
incontravo per la via,
osò dirmi sospirando
che nel cor io lo feria;
io che tremo, a dirla schietta,
sol ch’io vegga una lancetta.

Poi fra gli altri un certo matto
delle Grazie mi fea nido;
voleva un altro ad ogni patto
farmi madre di Cupido:
ma guardate cbe idea pazza,
dir ch’è madre una ragazza!

Un vecchio pretendea
ch’io mi fossi diventata
nientemeno che una Dea
degna d’essere adorata;
io una Dea? in fede mia,
quest’è proprio un’eresia.

Non c’è caso – quei signori
col lor modo di parlare
dicon tali e tanti orrori
che vi fan raccapricciare:
nel mio povero villaggio
non si parla quel linguaggio.

Convien dire certamente
che quei cari cittadini
veggan tutto differente
da noi altri contadini.
Oh!… sarebbero per caso
quei due vetri ch’han sul naso?

Arnaldo Fusinato

BETNJO EL LA URBO

– Kora jen al vi saluto!
Ĉu la urb’ plaĉis al vi?
Diru pri la urba tuto,
Betnjo, diru, petas ni.
Vi ne plu vilaĝanino jen:
ho, vi feliĉulino !

– En la urbo ĉiam, ĉie,
oni vivas en komforto
pli ol en vilaĝo, kie
la viv’ estas… preskaŭ morto.
Sed pli fia ol infekto
estas l’ urba dialekto.

La ĵargonon de l’ urbanoj
lerni vane, vane penas
ne nur ni, geparoĥanoj,
sed ĝin tute ne komprenas
eĉ la Parohestro mema,
tiel klera kaj studema!

Respektinda ul’ nomadis ofte
min «brilanta astro»;
mia kol’, li asertadis,
estas «pura alabastro»,
kaj el miaj du pupiloj,
ve, eliras…. «fulmekbriloj»!

Mia voĉ’ «liuta sono»
ŝajnas, de urban’ laŭ ĵuro;
mi «de roz’ estas burĝono»,
mia haŭt’ estas «veluro»;
havas mi «oran hararon»
kaj en buŝ’ «brilan perlaron».

Ulo, ŝajna al simio,
spasme sekvadanta min,
nomis min «pec’ de glacio»
nur ĉar mi certigis lin
ke vizaĝon de Simi’
mi ne amos, ne, ne, fi!

Kun mien’ de «de profundis»
al mi plendis jam sinjoro
ĉar mi lin «kruele vundis
en la mezon de la koro»
(mi, en trem’ kiel knabeto
de ĥirurg’ antaŭ lanceto!).

Oni «de l’ Gracioj» min
faris «neston, de adoro
inda». Estas mi «patrin’»
laŭ alia «de Amoro».
Ha, freneza jen difino!
Al fraŭlin’ diri…. patrino!

Riĉa maljunul’ en tremo
foje al mi parolante
kulpa iĝis pri blasfemo
eĉ «Diino», min nomante.
Mi Diino!… Diro tia
ĉu ne estas tre malpia?

Malgraŭ la duvitr’, de ĉiu
portadata tre fiere
sur la naz’, de l’ urb’ neniu
estas komprenata: vere
estas l’ urba parolado
por ni, ve, sfinksa ŝarado!

Pripensante fakton tiun
cerbumadas mi en vano:
ĉu en l’ urbo kaptis ĉiun
de l’ vidad’ stranga malsano ?
Aŭ dependos ĉu l’ okazo
de l’ du vitroj sur la nazo?

Arnaldo Fusinato, trad. Alessandro Mazzolini
(“Itala Esperanta Revuo” 1923-2, p. 24-25)
(“Literatura Mondo” 1937-6, p. 163)

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