Personaggi

Benvenuto Cellini

Il 13 febbraio ricorre la morte (nel 1571) dello scultore, orafo e scrittore fiorentino Benvenuto Cellini (1500-1571)

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famoso soprattutto per la statua in bronzo di “Perseo che decapita Medusa” (Firenze, Loggia dei Lanzi)

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e per una saliera, capolavoro di arte orafa, conservata al Kunsthistoriches Museum di Vienna.

Ebbe una vita irrequieta, violenta, errabonda ed avventurosa: già a sedici anni fu esiliato a Siena per una rissa; tornato a Firenze, fuggì di casa; nuove risse e tafferugli lo costrinsero a cercare rifugio a Siena; poi dovette fuggire a Roma per sottrarsi alla condanna a morte in contumacia per aver pugnalato due persone; qui fu protagonista di altre risse, e fu colpito dalla peste.

Nel 1527, quando i lanzichenecchi

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(feroci mercenari tedeschi dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo) saccheggiarono Roma,

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Cellini riparò insieme al Papa Clemente VII in Castel Sant’Angelo, e partecipò alla sua difesa quale archibugiere e bombardiere (in quell’occasione, a suo dire uccise il comandante degli assedianti, Carlo III di Borbone-Montpensier, e ferì il suo successore Principe d’Orange).

Terminato il Sacco, Cellini lasciò Roma, e si recò prima a Firenze, e poi a Mantova; tornato a Roma nel 1529, dove trovò modo di ammazzare l’uccisore di suo fratello Cecchino, assassinato in una rissa (evidentemente, si trattava di uno spirito di famiglia); il Papa si limitò a rimproverarlo. Andò peggio quando, in un diverbio, ferì un notaio: fu allora costretto a rifugiarsi a Napoli.

Tornato a Roma dopo la morte di Clemente VII, Cellini uccise un orafo suo rivale; il nuovo Papa, Paolo III Farnese, non solo lo assolse, ma anche gli commissionò una moneta con la sua effigie.

L’anno successivo, a causa della sua inimicizia con Pier Luigi Farnese (figlio del Papa: questi erano i tempi!), si traferì prima a Firenze e poi a Venezia; entrato in contrasto con Ottaviano de’ Medici, Cellini tornò a Roma, ma poi, a causa dei sempre maggiori contrasti con Pier Luigi Farnese, si recò brevemente a Parigi. Tornato nuovamente a Roma, fu imprigionato in Castel Sant’Angelo perché accusato da Pier Luigi Farnese di aver rubato alcuni beni di Papa Clemente VII durante il Sacco di Roma. Cellini (che conosceva il castello a menadito) riuscì ad evadere, usando lenzuola annodate; ma poiché la “corda” di fortuna era troppo corta, alla fine dovette saltare da grande altezza, e si ruppe una gamba; dato che aveva le vesti lacere, riuscì ad impietosire un passante affermando spudoratamente di essere un innamorato costretto a saltare dalla finestra dell’amata per non essere sorpreso.

Riconsegnato al Papa, fu di nuovo imprigionato fino alla fine del 1539.

Tornato libero, Cellini si incamminò per la Francia; lungo la strada, non tralasciò di uccidere a Siena una persona.

Il Re di Francia Francesco I gli fornì come alloggio un castello sulla riva sinistra della Senna, e nel 1542 gli concesse la cittadinanza francese.

Nel 1543 Cellini realizzò per Francesco I la famosa saliera

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conservata oggi a Vienna, dove giunse nel 1570 come dono di Carlo IX di Francia all’arciduca Ferdinando II del Tirolo, che aveva procurato il suo matrimonio con Elisabetta d’Austria. Rubata nel 2003 con la richiesta di un riscatto di 10 milioni di euro (la vendita era impensabile, data la notorietà dell’oggetto), la saliera, valutata 50 milioni di euro, è stata recuperata dalla polizia nel 2006 in un bosco presso Zwettl, a circa 90 km a nord della capitale austriaca.

In quello stesso periodo, Cellini creò i modelli ed alcuni pezzi per la “Porta di Fontainebleau”; in quella circostanza, si invaghì di una delle modelle, da cui ebbe una figlia.

Nel 1545, l’artista lasciò Parigi, a causa di «certe magagne che a torto m’erano aposte» (mai esplicitate: sembra che fosse accusato di aver “allentato la borsa del Re”); tornato a Firenze, fu calorosamente accolto da Cosimo I de’ Medici, il quale gli commissionò due sculture bronzee: il proprio busto e il gruppo del Perseo con la testa di Medusa, da collocare nella loggia dei Lanzi in piazza della Signoria.

Allontanatosi temporaneamente da Firenze per sfuggire all’accusa di sodomia, soggiornò a Venezia; tornato a Firenze, riuscì a fondere il Perseo malgrado le difficoltà tecniche incontrate.

Terminata l’opera nel 1554, Cellini non ebbe più commesse, perché ormai dominavano in città altri artisti; egli si diede quindi alla letteratura, dettando la propria autobiografia (“Vita di Benvenuto Cellini scritta da lui medesimo”, dettata tra il 1558 ed il 1567, ma pubblicata postuma soltanto nel 1728).

Ma non solo questo: in quel periodo di inattività artistica, rinunziò ai benefici ecclesiastici, si sposò, ebbe un figlio, fu incarcerato per aver percosso un orafo, fu condannato a cinquanta scudi di multa e a quattro anni di arresti domiciliari perché «durante cinque anni ha tenuto Fernando di Giovanni di Montepulciano in letto come sua moglie», e scrisse il “Trattato dell’oreficeria” ed il “Trattato della scultura”.

La “Vita” è considerata un capolavoro, non solo per la varietà degli avvenimenti narrati, ma anche per la vivacità della descrizione e per le numerose invenzioni linguistiche

Un brano della “Vita” (“La fusione in bronzo del Perseo”) è stato tradotto in Esperanto da Gian Carlo Guarnieri e pubblicato nella “Itala Antologio” (Antologia Italiana), Milano FEI 1987, pagg. 191-195, feilibri@esperanto.it

Allego la copertina dell’Antologia, e le immagini dei 4 francobolli dedicati a Cellini dalle Poste Italiane, rispettivamente nel 1950 (Conferenza UNESCO a Firenze), nel 1971 (quarto centenario della morte), nel 2000 (quinto centenario della nascita) e nel 2013 (l’arte orafa, per la serie “Made in Italy” – la famosa saliera).

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