Eventi

Beffa di Buccari

Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, durante la prima guerra mondiale, una flottiglia della Marina Militare italiana compì un’audace incursione nel porto militare di Buccari (in croato, Bakar), a oriente della penisola istriana all’epoca austroungarica: tre motoscafi armati (in sigla, MAS *), con a bordo Luigi Rizzo, Arturo Ciano, il poeta Gabriele D’Annunzio ed alcune decine di marinai incursori, entrarono nella base, lanciarono sei siluri, e depositarono in tre bottiglie un irridente messaggio di D’Annunzio, che diceva tra l’altro:
«In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, (**) sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile».
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(*) MAS significava, all’inizio, semplicemente e burocraticamente “motobarca armata SVAN”, dal nome della ditta veneziana SVAN che lo produceva; poi passò a significare “Motoscafo Anti Sommergibile”, oppure “Motoscafo Armato Silurante”; infine, il solito Gabriele D’Annunzio si inventò un motto latino, con tre parole, le cui lettere iniziali componevano la sigla MAS: “Memento Audere Semper”, ricordati di osare sempre.
(**) Sulla battaglia navale di Lissa (1866), v.

Lissa-Von Tegetthoff


Da un punto di vista strettamente militare, l’incursione non fu rilevante, perché i danni alle navi austro-ungariche furono modesti, data l’esistenza di reti antisiluro; ma fu enorme l’impatto psicologico positivo sulle truppe e sulla popolazione italiana, abbattute dalla tragica vicenda di Caporetto/ Kobarid dell’ottobre 1917.

Caporetto-Kobarid


L’episodio, ampliato dalla propaganda ed esaltato come “La beffa di Buccari”,
it.wikipedia.org/wiki/Beffa_di_Buccari
dimostrò che, spesso, il ridicolo è un’arma incruenta, ma più efficace di qualunque altro mezzo di offesa.
Per celebrare quella vicenda, Gabriele D’Annunzio scrisse una poesia, intitolata “La canzone del Quarnaro” dal nome del Golfo istriano, in cui c’è un gioco di parole tra Quarnaro o Carnaro (in croato Kvarner) e “carne”; il testo completo, abbastanza lungo, si può leggere qui:
it.wikisource.org/wiki/Canti_della_guerra_latina/La_canzone_del_Quarnaro
Ne trascrivo alcune strofe, in italiano e nella traduzione in Esperanto di Luigi Minnaja, da “L’Esperanto” 1938-3; allego un francobollo italiano del 1934, su bozzetto di Giuseppe Rondini, per il primo centenario delle Medaglie al valore militare, con l’immagine di un MAS.


 

Da “La Canzone del Quarnaro”

LA  BEFFA  DI  BUCCARI

 

Siamo trenta d’una sorte,
e trentuno con la morte.
Eia, l’ultima! Alalà!

Siamo trenta su tre gusci
su tre tavole di ponte:
secco fegato, cuor duro,
cuoia dure, dura fronte,
mani macchine armi pronte,
e la morte a paro a paro.
Eia, carne del Carnaro!
Alalà!

Con un’ostia tricolore
ognun s’è comunicato.
Come piaga incrudelita
coce il rosso nel costato,
ed il verde disperato
rinforzisce il fiele amaro.
Eia, sale del Quarnaro!
Alalà!

Tutti tornano, o nessuno.
Se non torna uno dei trenta
torna quella del trentuno,
quella che non ci spaventa,
con in pugno la sementa
da gittar nel solco avaro.
Eia, fondo del Quarnaro!
Alalà!

Gabriele D’Annunzio

El “La kanzono de Karnaro”

LA  MOKO  DE  BUCCARI

 

Ni estas tridek el samsorto,

tridekunu kun la morto.

Eja, lasta! Alalà!

 

Ni estas tridek sur tri ŝeloj,

sur tri lignoj de pontono:

hepat’ seka, dura koro,

haŭto dura, dura frunto;

pretaj man’, armil’, motoro,

kaj la mort’ en sama faro.

Eja, karno de Karnaro!

Alalà!

 

Per hostio trikolora

ĉiu ja komuniiĝis.

Kvazaŭ vundo ĉiam freŝa

ardas ruĝo ĉe l’ rip-aro,

donas verdo malespera

forton pli al gala amaro.

Eja, salo de Karnaro!

Alalà!

 

Ĉiuj reen, aŭ neniu.

Se la tridek ne revenas,

reen la tridekunua,

kies timo nin ne prenas,

kun en mano semo plua,

alĵetota al sulka avaro.

Eja, fundo de Karnaro!

Alalà!

 

Gabriele D’Annunzio, trad. Lumi (Luigi Minnaja)

(el “L’Esperanto de FEI” 3/1938)

 

 

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