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Tricolore

Il 7 gennaio è (in base alla legge 31 dicembre 1996, n. 671) la festa della bandiera nazionale italiana, il tricolore
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nell’anniversario della sua adozione, nel 1797, da parte del primo Stato italiano indipendente, la “Repubblica Cispadana”.
Simbolo dell’unità nazionale, il tricolore è adesso menzionato esplicitamente nella Costituzione italiana del 1947:
Art. 12: La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
Trascrivo un episodio dal libro del 1886 “Cuore” di Edmondo De Amicis

Edmondo De Amicis


in italiano e nella traduzione in Esperanto di Ettore Fasce, il quale dimostra come quella “unità” nazionale non fosse ancora raggiunta nel 1886; purtroppo, anche oggi non è consolidata, per differenti tradizioni e condizioni di vita, ma anche per reciproci pregiudizi.
Un chiarimento: il libro “Cuore” si presenta come un diario di un alunno della terza classe di una scuola elementare comunale di Torino (Piemonte, Italia Nordoccidentale); la Calabria è l’estrema punta sudoccidentale della penisola italiana. Se un piemontese e un calabrese parlassero tra di loro nei rispettivi dialetti, uno non capirebbe l’altro.
Allego il francobollo italiano del 1997, su bozzetto di Rita Fantini, per il secondo centenario del primo tricolore italiano (Reggio Emilia, 7 gennaio 1797).


IL RAGAZZO CALABRESE
Ottobre, 22, sabato

Ieri sera entrò il Direttore con un nuovo iscritto, un ragazzo di viso molto bruno, coi capelli neri, con gli occhi grandi e neri, con le sopracciglia folte e raggiunte sulla fronte, tutto vestito di scuro, con una cintura di marocchino nero intorno alla vita. Il Direttore, dopo aver parlato nell’orecchio al maestro, se ne uscì, lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito. Allora il maestro gli prese una mano, e disse alla classe: – Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria, a più di cinquecento miglia di qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano. Egli è nato in una terra gloriosa, che diede all’Italia degli uomini illustri, e le dà dei forti lavoratori e dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra patria, dove son grandi foreste e grandi montagne, abitate da un popolo pieno d’ingegno, di coraggio. Vogliategli bene, in maniera che non s’accorga di esser lontano dalla città dove è nato; fategli vedere che un ragazzo italiano, in qualunque scuola italiana metta il piede, ci trova dei fratelli. Detto questo s’alzò e segnò sulla carta murale d’Italia il punto dov’è Reggio di Calabria. Poi chiamò forte: – Ernesto Derossi! – quello che ha sempre il primo premio. Derossi s’alzò. – Vieni qua, – disse il maestro. Derossi uscì dal banco e s’andò a mettere accanto al tavolino, in faccia al calabrese. – Come primo della scuola, – gli disse il maestro, – dà l’abbraccio del benvenuto, in nome di tutta la classe, al nuovo compagno; l’abbraccio dei figliuoli del Piemonte al figliuolo della Calabria. – Derossi abbracciò il calabrese, dicendo con la sua voce chiara: – Benvenuto! – e questi baciò lui sulle due guancie, con impeto. Tutti batterono le mani. – Silenzio! – gridò il maestro, – non si batton le mani in iscuola! – Ma si vedeva che era contento. Anche il calabrese era contento. Il maestro gli assegnò il posto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora: – Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perché questo fatto potesse accadere, che un ragazzo calabrese fosse come in casa sua a Torino e che un ragazzo di Torino fosse come a casa propria a Reggio di Calabria, il nostro paese lottò per cinquant’anni e trentamila italiani morirono. Voi dovete rispettarvi, amarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questo compagno perché non è nato nella nostra provincia, si renderebbe indegno di alzare mai più gli occhi da terra quando passa una bandiera tricolore. – Appena il calabrese fu seduto al posto, i suoi vicini gli regalarono delle penne e una stampa, e un altro ragazzo, dall’ultimo banco, gli mandò un francobollo di Svezia.
Edmondo De Amicis, “Cuore” (ottobre)
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LA KALABRIA KNABO.
Oktobro, la 22an, sabate.

Hieraŭ vespere eniris la Direktoro kun nova enskribiĝinto, tre brunvizaĝa knabo, kun nigraj haroj, grandaj kaj nigraj okuloj, densaj kaj surfrunte kuniĝintaj brovoj: tute malhelkolore vestita, kun nigra marokena zono ĉirkaŭ la talio. La Direktoro, post kiam li parolis enorele al la instruisto, eliris, lasante apud li la knabon, kiu rigardis nin per siaj grandaj, nigraj okuloj, preskaŭ timigite. Tiam la instruisto ekprenis lian manon kaj diris al la lernantaro: – Vi devas esti kontentaj. Hodiaŭ eniras nian lernejon malgranda Italo naskiĝinta en Reggio Calabria, malproksime de ĉi tie pli ol kvincent mejlojn. Amu vian fraton alvenintan de malproksime. Li naskiĝis en glora lando, naskinta por Italujo glorajn homojn, donanta al ĝi fortajn laboristojn kaj bravajn soldatojn; en unu el la plej belaj regionoj de nia patrolando, kie troviĝas grandaj arbaroj kaj altaj montaroj loĝataj de popolo talento-plena kaj kuraĝa. Amu lin tiamaniere, ke li ne eksentu ke li troviĝas malproksime de sia naskiĝurbo: pruvu al li, ke itala knabo, en kiun ajn italan lernejon li enpaŝas, tie li renkontas fratojn. – Tion dirinte li stariĝis kaj montris, sur la mura landkarto de Italujo, kie estas Reggio Calabria. Poste li laŭte vokis: – Ernesto Derossi! – tiun, kiu ricevas ĉiam la unuan premion. Derossi ekstaris. – Venu tien ĉi, – diris la instruisto. Derossi eliris el la benko kaj direktiĝis al la tablo, kontraŭ la kalabriano. – Kiel plejmerita lernanto de la klaso, – diris al li la instruisto, – donu bonvenan ĉirkaŭbrakon al la nova kamarado, en la nomo de la tuta lernantaro; ĉirkaŭbrakon de la filoj de Piemonto al la filo de Kalabrio. – Derossi ĉirkaŭprenis la kalabrianon, dirante per sia klara voĉo: – Bonvenon! – kaj tiu ĉi kisis liajn ambaŭ vangojn, impete. Ĉiuj kunfrapis la manojn. – Silentu! – admonis la instruisto, – oni ne manaplaŭdas en la lernejo! – Tamen oni vidis, ke li estas kontenta. Ankaŭ la Kalabriano estis kontenta. La instruisto asignis al li lian sidlokon kaj akompanis lin al la benko. Poste li ankoraŭ diris: – Bone rememoru tion, kion mi diras al vi. Por ke povu okazi tio ĉi, ke kalabria knabo restadu en Torino kvazaŭ li estus hejme kaj ke knabo el Torino restadu en Reggio Calabria kvazaŭ li estus en sia hejmo, nia patrujo luktadis dum kvindek jaroj kaj tridekmil Italoj mortis. Vi devas reciproke interrespekti, vi ĉiuj interami, kaj se iu el vi ofendus tiun ĉi kamaradon pro tio, ke li ne naskiĝis en nia provinco, tiu por ĉiam malindus levi el tere la okulojn, kiam preterpasas nia trikolora flago. – Tuj kiam la Kalabriano sidis en sia benko, liaj najbaroj donacis al li plumojn kaj presaĵon kaj alia knabo, el la lasta benko, sendis al li poŝtmarkon el Svedujo.

Edmondo De Amicis, “Cuore” (Koro), oktobro, trad. Ettore Fasce

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