Personaggi

Giovanni Pascoli

Il 31 dicembre è l’anniversario della nascita (nel 1855) del poeta e latinista italiano (romagnolo) Giovanni Pascoli (1855-1912)
it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Pascoli
Già più volte ho parlato di lui, sia per la sua importanza nella letteratura italiana, sia perché moltissime sue poesie sono state tradotte in Esperanto (tra l’altro, nel 2012, l’intera raccolta “Myricae”, ad opera di Nicolino Rossi)

Passator cortese

Dieci agosto

Cavallina storna

Sissi


Oggi mi limito a presentare la poesia “L’aquilone”, in italiano e nella versione in Esperanto (“La paperdrako”) di Giordano Azzi.
La poesia è stata scritta nel 1897; il poeta, ormai adulto (Professore di Letteratura latina all’Università di Messina), rivà con il pensiero agli anni della fanciullezza, quando era in collegio ad Urbino, perché orfano del padre, ucciso il 10 agosto 1867 nel giorno di San Lorenzo.
Nel ricordo, si mescolano i giochi spensierati (con l’aquilone) e la morte prematura di un compagno. Quella morte, che allora gli era sembrata ingiusta, gli appare adesso in una luce diversa, perché ha evitato all’adolescente le delusioni e le amarezze della vita.
Allego il francobollo del 2012 della Repubblica di San Marino per il centenario della morte di Giovanni Pascoli, su bozzetto di F. Filanci, con alcuni versi della poesia “L’aquilone”.


L’AQUILONE

(Vittorio Gassman)

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.

Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.

Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch’erbose hanno le soglie:

un’aria d’altro luogo e d’altro mese
e d’altra vita: un’aria celestina
che regga molte bianche ali sospese…

sì, gli aquiloni! E’ questa una mattina
che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d’albaspina.

Le siepi erano brulle, irte; ma c’era
d’autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera

bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.

Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.

Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza.

S’inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.

S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo
petto del bimbo e l’avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.

Più su, più su: già come un punto brilla
lassù, lassù… Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto… – Chi strilla?

Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all’improvviso,
una dolce, una acuta, una velata…

A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! E te, sì, che abbandoni
su l’omero il pallor muto del viso.

Sì: dissi sopra te l’orazioni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!

Tu eri tutto bianco, io mi rammento:
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.

Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!

Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi petali un fiore

ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch’io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto…

Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!

Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co’ bei capelli a onda

tua madre… adagio, per non farti male.

Giovanni Pascoli

°°°°°

LA PAPERDRAKO

Je l’ suno ion novan mi ekkonas,
antikvan eĉ; for tiras min pens’ trena:
mi sentas, ke l’ violoj ekburĝonas.

En monaĥeja parko kapucena
ili burĝonas, ĉe l’ folioj mortaj
pelataj de la vento kirle vena.

La dolĉaj aerblovoj, degelportaj,
vizitas la kamparajn preĝejetojn,
kiuj herbplenaj havas sojlojn pordajn:

aeroj el aliaj vivsekretoj,
alisezonaj, alilokaj, tenas
en lazur’ ŝvebe blankajn flugiletojn…

Paperajn drakojn! La lernej’ malplenas,
ĉi matenon. Multope ni forestis:
laŭ kratagaj dornheĝoj ni promenas.

Nudaj, hirtaj la heĝoj: sed ĉerestis
kelka aŭtuna ruĝa bero truda;
kaj kelka blanka flor’ printempa festis;

brustruĝa turd’, sur branĉetaro nuda,
saltis, kaj montris jen lacert’ kapeton
tra l’ seka foliar’ de l’ sulk’ apuda.

Haltaj ni estas nun: la silueton
ni vidas de Urbino venta, sendas
ĉiu de sur krutaĵ’ paperkometon.

Kaj jen ĝi ondas, stumblas, hezitpendas,
salte resupreniras, vente ŝvelas,
tra longa hurl’ de knaboj jen ascendas.

Ascendas ĝi, el man’ fadenon ŝtelas,
kiel floro fuĝa sur trunket’ subtila,
kiu al fora reflorado celas.

Ascendas ĝi; la pied’ maltrankvila,
la knabaj brust’, vizaĝ’ anhelas kore,
ĉielen emas kun avid’ pupila.

Plu alten pli: jam punkto brilas fore,
en supro… Sed jen flanka vent-ekblovo,
jen alta krio… kiu krias bore?

De l’ lernejanaj voĉoj jen la trovo:
ilin mi ĉiujn tuj subite konas:
dolĉa, akuta, kaŝa la voĉpovo.

Unuope mi ĉiujn vin rekonas,
kunuloj miaj; kaj cin, kiu l’ mutan
palan vizaĝon al la ŝultro donas.

Por ci la preĝon mi plendiris tutan:
tamen feliĉa ci, kiu nur spertis
la drakofalon dum ventado kruda!

Ci estis blanka, la memoro certis:
nur iom ruĝaj restis la genuoj,
ĉar ni por preĝi surpavime lertis.

Ho! Ci feliĉa: ciaj okultruoj
en konsolo fermiĝis, dum ĉe l’ koro
ci prenis la ludilojn de la ĝuoj!

Estas dolĉa la morto, sen doloro,
se bruste oni premas la knabecon,
kiel blankajn petalojn iu floro

burĝona ĵus! Kaj baldaŭ en terpecon
mi ankaŭ venos, ho junulo morta,
kie vi trankvildormas la solecon…

Pli bone veni, roza, ŝvitoporta,
anhela, kiel sur deklivo monta,
post gajimpeta vetkurado forta!

Pli bone veni kun la kapo blonda,
kiun, dum tuŝ’ malvarma surkusene,
la panjo kombis tra l’ hararo onda…

dolĉe, por ke al ci ne estu ĝene.

Giovanni Pascoli, trad. Giordano Azzi
(el “Elektitaj poemoj de Giovanni Pascoli” – 1952)

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