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Miramar

Il 14 aprile 1864 Ferdinando Massimiliano d’Asburgo (1832-1867), principe imperiale, arciduca d’Austria, principe di Ungheria e di Boemia
it.wikipedia.org/wiki/Massimiliano_I_del_Messico
eo.wikipedia.org/wiki/Maksimiliano_%28Meksiko%29
partì da Trieste, lasciando il castello di Miramare (“Miramar” in triestino)
it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Miramare
alla volta del Messico, di cui era stato nominato imperatore con l’appoggio di Napoleone III di Francia e di gruppi conservatori messicani.
La fregata che lo portava in Messico (insieme con la moglie Carlotta) recava il nome “Novara”: un tipico esempio di come la storia abbia almeno due facce, dato che per gli italiani il nome della città di Novara ricorda una pesante sconfitta
it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Novara_%281849%29
eo.wikipedia.org/wiki/Batalo_de_Novaro_(1849)
mentre per gli austriaci, specularmente, ricorda una grande vittoria.
In Messico, Massimiliano incontrò un forte resistenza, e ad un certo momento fu abbandonato dai conservatori messicani (a causa della sua politica liberale), dalla Francia e dagli Stati Uniti (che applicarono la c.d. “Dottrina Monroe”
it.wikipedia.org/wiki/Dottrina_Monroe
eo.wikipedia.org/wiki/Doktrino_de_Monroe
secondo cui nessun Paese extra-americano ha diritto di intromettersi negli affari americani, mentre gli Stati Uniti hanno il diritto, ed anzi la missione, di occuparsi dell’intero continente).
Carlotta tornò in Europa, cercando appoggi per il marito a Parigi, Vienna (presso l’imperatore Franz Josef/ Francesco Giuseppe, che però era lietissimo di essersi liberato del fratello) e Roma (presso Papa Pio IX), ma i suoi sforzi furono vani, e non rientrò in Messico, anche perché colta da infermità mentale; morì in tarda età, nel 1927, in Belgio sua patria.
Massimiliano, catturato dagli insorti di Benito Juárez
it.wikipedia.org/wiki/Benito_Ju%C3%A1rez
eo.wikipedia.org/wiki/Benito_Ju%C3%A1rez
(nel 1883, il padre socialista di Benito Mussolini chiamò il figlio Benito – che, curiosamente, significa “Benedetto” sia in spagnolo che in Esperanto – proprio in omaggio al leader rivoluzionario messicano),
fu fucilato a Queretaro il 19 giugno 1867. Il suo corpo fu imbalsamato, e l’anno successivo fu riportato a Trieste, con la stessa nave “Novara” che l’aveva portato in Messico; trasportato a Vienna, fu sepolto nella Cripta Imperiale.
La tragica vicenda di Massimiliano e Carlotta – vista sotto l’aspetto della nemesi storica, quasi vendetta sugli incolpevoli Massimiliano e Carlotta per la battaglia di Novara e la distruzione della civiltà azteca – ha formato oggetto di una famosa poesia di Giosuè Carducci

Giosuè Carducci


“Miramar”, di cui unisco la bella traduzione in Esperanto di Pier Giorgio Soranzo, da “L’Esperanto” 1981-1 (il testo italiano può essere letto su
it.wikisource.org/wiki/Odi_barbare/Delle_Odi_Barbare_Libro_I/Miramar ).
Aggiungo che, a Trieste, la sfortunata vicenda di Massimiliano e Carlotta è ancora vivissima nel ricordo, tanto che nei pressi del castello di Miramare esiste la “Riva Massimiliano e Carlotta”,
www.mapquest.com/italy/friuli-venezia-giulia/trieste/34151/riva-massimiliano-e-carlotta-45.707459,13.713687
mentre nella toponomastica della città, profondamente italianizzata dopo l’unione all’Italia nel 1919, nemmeno un vicolo è dedicato all’imperatrice Maria Teresa d’Austria
it.wikipedia.org/wiki/Maria_Teresa_d'Austria
eo.wikipedia.org/wiki/Maria_Tereza_de_A%C5%ADstrio
sebbene essa abbia fatto la fortuna di Trieste.
Sempre a Trieste, in estate si svolge nel castello di Miramare uno spettacolo di suoni e luci dedicato a Massimiliano e Carlotta.
Allego:
– la busta primo giorno (FDC) del francobollo messicano del 1980 per i monumenti preispanici del Messico;
– una cartolina maximum, formata con un francobollo italiano del 1980 per il Castello di Miramare a Trieste;
– la copertina di un opuscolo in Esperanto su Miramare, di Livio Fioroni.


MIRAMARO

Ho Miramar’, al viaj blankaj turoj
ĉagreniĝintaj pro l’ ĉiel’ plennuba,
dense kaj kiel birdoflug’ sinistra
venas la nuboj.

Ho Miramaro, kontraŭ viajn rokojn
suprenvenante de l’ tempesta maro
grize kaj grumble kiel gent’ kolera
plaŭdas la ondoj.

Spektas la golfojn turohavaj urboj
kiuj malĝojas sub la ombr’ de l’ nuboj:
estas Piran’, Parenzo, Eĝid’, Muĝjo,
gemoj de l’ maro.

Puŝas la maro muĝan ondkoleron
kontraŭ ci klifan bastionon: ambaŭ
bordojn adriajn vi el ĝi ampleksas,
turo habsburga.

Tondras ĉielo super Nebrezin’ kaj
longe de l’ rustkolora bord’, Triesto,
fone, la kapon fulmkronitan levas
super nimbusojn.

Kiel ridetis ĉio, tiun dolĉan
tagon aprilan, kiam kun l’ edzino
bela, veturis sur la mar’ la blonda
imperiestro!

Lia vizaĝ’ serena elradiis
fortan potencon imperian: dume
pave l’ okul’ lazura de l’ virino
iris la maron.

Reĝa kastel’, adiaŭ, nest’ de amo
vane farita por feliĉaj tagoj!
Sur ocean’ dezerta Fat’ alia
trenas la paron,

kiu forlasas kun espero arda
ĉambrojn pentritajn per triumfoj, riĉajn
je aforismoj. Dant’, Goet’ parolas
vane al reĝo

el instigantaj bildoj: sfinks’ lin logas
varimiene sur la mar’. Li cedas:
restas ovrita je duon’ la libro
de l’ romancero.

En Hispani’ azteka lin akceptos
nek aventuroj nek priamaj kantoj
nek la gitaraj sonoj. Kiu fora
kanto funebra

venas aere de la malfeliĉa
pint’ de Salvor’ tra l’ raŭka plor’ de l’ ondoj?
Ĉu de Istri’ l’ feinoj oldaj kantas,
ĉu la venetoj

jam forpasintaj? Aj! Senŝance sulkas
vi, Habsburgido, nian maron sur fa-
tala Novar’. Eskortas vin Furi’: al
vent’ ŝi la velon

hisas. Rigardu l’ sfinkson ŝanĝmienan
retroirantan antaŭ vi kun trompo!
Kontraŭ l’ edzino via blankas pale
Janjo freneza.

Jen la krani’ senkorpa kontraŭ vi rikani
de Antoneta. Putrokule
vin la vizaĝo hirta, flava fiksas
de Montezumo.

En la arbaroj el agavoj altaj
kiujn bonfara vent’ neniam blovis,
en piramido loĝas, eligante
fajrojn malhelajn

tra la tenebroj de l’ tropiko, dio
Huitzilopotli, kiu vian sangon
flaras kaj per l’ okul’ tra l’ mar’ irante
“Venu – ululas –

“Jen vi, finfine! La blankul’ feroca
templojn kaj regnon mian fordetruis;
venu, viktimo destinita, nep’ de
Karlo la kvina.

Viajn malnoblajn avojn forputrantajn
lante aŭ ardajn pro manio reĝa
mi ja ne volis: vin mi ŝiras, fresa
flor’ de Habsburgo.

Vin foroferos mi al grandanima
Gŭatimozin’ de l’ volb’ ĉiela reĝo,
kiel viktimon, pura, forta, bela
Maksimiljano”.

Giosuè Carducci, trad. Pier Giorgio Soranzo
(“L’Esperanto” 1981-1, p.6-7)

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