Il Gruppo esperantista e la democrazia delle paroleFondata nel 1920 l'associazione coltiva il sogno di una lingua universale. Libri, concorsi, lezioni: nel cassetto c'è anche il progetto di un festival(Sara Bellingeri, La Gazzetta di Mantova, 9 settembre 2011)Una storia lunga che abbraccia grandi spazi con la volontà di trovare un terreno comune di incontro, a dispetto delle distanze. È un vero e proprio racconto di vita quello dell’esperanto (tradotto “colui che spera”), la lingua creata dal polacco Zamenhof a fine Ottocento, in cui le parole non vogliono ottenere ragione ma, al contrario, far dialogare i popoli promuovendo la comprensione e quindi la pace. Un progetto fatto non solo di lettere e studi, ma sostenuto attivamente da numerose persone che formano i gruppi esperantisti diffusi in tutto il mondo.A Mantova la storia del Gruppo Esperantista affonda le radici nel 1920, con la fondazione da parte di Fernando Zacchè ed Edmondo Lanzi. Diverse le vicissitudini affrontate, tra cui la chiusura imposta dal regime fascista insofferente ai valori di democrazia e uguaglianza. Il gruppo però non si arrese e tornò dopo la fine della seconda guerra mondiale. Oggi è un’associazione di promozione sociale senza fini di lucro impegnata in diversse attività. Tra queste spiccano le pubblicazioni, che comprendono racconti moderni e ricerche attuali come lo studio dei prestiti di parole straniere all’italiano e un’inchiesta sul multilinguismo, l’esperanto e l’inglese nel territorio di Mantova. Del 2004 il dizionario multietnico in undici lingue.«Nel corso degli anni la fisionomia del gruppo è molto cambiata, abbiamo anche avuto periodi con duecento soci» racconta l’attuale presidente Graziano Ricagno, neuropsichiatra infantile e appassionato studioso di lingue tanto da parlarne fluentemente cinque (esperanto compreso). «Se non sbaglio siamo la seconda associazione per anzianità di Mantova – si sbilancia – Quello che cerchiamo di portare avanti è il senso e il valore di questa lingua che promuove l’incontro».L’associazione è impegnata anche nella promozione di concorsi letterari, corsi di formazione nelle scuole e manifestazioni pubbliche. Così al Festivaletteratura, dove anche quest’anno il gruppo si presenta con evento collaterale (nell’ambito del “libro parlato”). Tra i grandi sogni nel cassetto c’è quello di realizzare a Mantova un festival delle lingue, focalizzato sul valore del confronto e della condivisione. «Purtroppo non c’è stata ancora la possibilità ma non si sa mai, la speranza non manca» spiega Ricagno.E a proposito del suo incontro con l’esperanto ricorda: «Mio padre era già un simpatizzante e me ne aveva parlato fin da quando ero bambino. Ne sono stato subito coinvolto e affascinato tanto che l’ho imparato in una quindicina di giorni. La cosa che mi piace di più è il fatto che sia una lingua aperta, democratica e semplice dato che si può imparare da autodidatti. Inoltre è a suo modo gratuita poiché il suo stesso fondatore ha rinunciato ai diritti d'autore per averla creata».Zamenhof aveva ricavato lessico e regole da lingue etniche che già erano parlate quotidianamente. Scopo nobile e storia affascinante: ma quando si parla dell’esperanto la gente sa di che cosa si tratta? «Non spesso, purtroppo. Diciamo che esiste un pregiudizio diffuso nei suoi confronti essendo chiamato erroneamente lingua artificiale quando sarebbe meglio definirla pianificata e con uno scopo ben preciso, quello di consentire il dialogo. Si è cercato, infatti, di togliere i fronzoli riducendo la grammatica all’osso per renderla fruibile e utilizzabile da tutti. Ecco perché è sempre stata osteggiata dai regimi totalitaristi, del resto gli esperantisti sono per la democrazia e l'amicizia tra i popoli. Hitler stesso aveva fatto mettere nei campi di concentramento un gruppo esperantista di resistenza».In Italia i gruppi esperantisti sono quarantotto, riuniti nella federazione nazionale che organizza congressi annuali. Dal 2000 il gruppo mantovano è fortemente impegnato sul fronte dei diritti: «La comunicazione e l’amicizia tra i popoli è un tema per noi fondamentale dato che parliamo di una lingua neutrale, nel senso che non si vuole imporre. Da qui la nascita di un progetto sull'accoglienza e l’integrazione da cui è scaturita la pubblicazione di un testo». In corso anche il sostegno a una proposta di legge per insegnare l’esperanto nelle scuole elementari e in quelle medie come seconda lingua.Spesso però non basta parlare la stessa lingua per riuscire a capirsi. «Sì, parlare la stessa lingua è sicuramente il primo passo per capirsi ma non basta – ammette Ricagno – ci vuole molto di più. E l’esperanto a questo proposito ha dei bellissimi aneddoti. Si racconta che nel ’42 al soldato che stava per sparargli un italiano avesse chiesto pietà in esperanto. Il caso ha voluto che anche il soldato conoscesse questa lingua e non lo uccise. Molto probabilmente perché le stesse parole avevano fatto capire qualcosa di più».