Personaggi

Dante Alighieri

Non avrebbe potuto cominciare peggio la celebrazione della “Giornata di Dante Alighieri”, indetta per il 25 marzo a partire dal 2020.

Quando, il 17 gennaio 2020, il Governo italiano prese la decisione, si era pensato al 25 marzo perché in quel giorno, secondo una parte degli studiosi, sarebbe iniziato il viaggio di Dante nell’Oltretomba; per la verità, secondo altri quel viaggio sarebbe iniziato, invece, nella notte tra il 7 e l’8 aprile (ne ho parlato diffusamente qui:

www.bitoteko.it/esperanto-vivo/2017/04/08/divina-commedia-dia-komedio/ ).

Si era pensato anche ad altre date (in particolare il 14 settembre, anniversario della morte di Dante), ma poi avevano prevalso due considerazioni:

– nel 2020, l’8 aprile cade nel pieno della settimana di Pasqua;

– il 14 settembre, non sarebbe facile la partecipazione degli studenti.

Nessuno, ovviamente, poteva prevedere, il 17 gennaio, la pandemia di coronavirus, la sospensione delle attività sociali e la chiusura delle scuole.

Quest’anno, le celebrazioni sono possibili solo a distanza.

Ma anche le cose più sfavorevoli hanno o possono avere (solo che si voglia) un risvolto positivo: in questo momento, in cui il popolo italiano è chiamato a stringersi intorno alla propria identità nazionale, Dante può e deve costituire un elemento di aggregazione, attraverso la lingua italiana e la cultura di cui Dante è espressione.

In questo giorno, ovviamente, l’attenzione maggiore è dedicata alla “Divina Commedia”; io voglio piuttosto presentare un testo meno conosciuto, alcuni versi dall’ultima delle 4 “Rime petrose”, dedicate a una donna (Petra) descritta come dura e crudele, che non ricambia l’amore del poeta e lo tratta duramente: tutto il contrario del “Dolce stil novo”, con un linguaggio ricercato ed espressioni violente, quasi sadiche.

Immagine: francobollo del 1965 della Repubblica di San Marino, da un’incisione di Gustave Doré, con il ritratto di Dante.


COSÌ NEL MIO PARLAR VOGLIO ESSER ASPRO

Così nel mio parlar voglio esser aspro
com’è ne li atti questa bella petra,
la quale ognora impetra
maggior durezza e più natura cruda,
e veste sua persona d’un diaspro
tal che per lui, o perch’ella s’arretra,
non esce di faretra
saetta che già mai la colga ignuda;
ed ella ancide, e non val ch’om si chiuda
né si dilunghi da’ colpi mortali,
che, com’avesser ali,
giungono altrui e spezzan ciascun’arme:
sì ch’io non so da lei né posso atarme.

………………………………………..

 
Così vedess’io lui fender per mezzo
lo core a la crudele che ‘l mio squatra;
poi non mi sarebb’atra
la morte, ov’io per sua bellezza corro:
ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo
questa scherana micidiale e latra.
Omè, perché non latra
per me, com’io per lei, nel caldo borro?
ché tosto griderei: “Io vi soccorro”;
e fare’l volentier, sì come quelli
che nei biondi capelli
ch’Amor per consumarmi increspa e dora
metterei mano, e piacere’le allora.
S’io avessi le belle trecce prese,
che fatte son per me scudiscio e ferza,
pigliandole anzi terza,
con esse passerei vespero e squille:
e non sarei pietoso né cortese,
anzi farei com’orso quando scherza;
e se Amor me ne sferza,
io mi vendicherei di più di mille.
Ancor ne li occhi, ond’escon le faville
che m’infiammano il cor, ch’io porto anciso,
guarderei presso e fiso,
per vendicar lo fuggir che mi face;
e poi le renderei con amor pace.

Canzon, vattene dritto a quella donna
che m’ha ferito il core e che m’invola
quello ond’io ho più gola,
e dàlle per lo cor d’una saetta,
ché bell’onor s’acquista in far vendetta.

Dante Alighieri

°°°°°

AL DAMO-ROKO

Mia parolo estu tiel aspra,

kiel en sia ag’ ĉi roko bela,

pli kaj pli senŝancela

en sia duro kaj naturo kruda.

Jen, ŝi sin vestas per kiraso jaspa,

kaj, por ke cedu ĉi fiera,

ne estas sago fera,

kiu ŝin trafus je la haŭto nuda.

Sed ja ŝi batas, kaj nek ŝirmo buda,

nek fuĝo helpas: ŝiaj batoj mortaj

vin, kvazaŭ flugilportaj,

atingas, ĉiun ŝildon povas fendi.

Mi kontraŭ ŝi ne povas min defendi.

…………………………………….

Se nur al ĉi kruela krevus ame

la koro, kiel pro ŝi mia sino!

Ne frostus mia spino

pro l’ mort’, per kiu ŝia bel’ min serpas,

kaj kiun, en la sun’ kaj ombro same

donas ĉi raba, murda krimulino.

Ve, kial en ravino

bolvarma, kiel mi, ŝi mem ne jelpas?

Ja tiam tuj mi krius: “Mi vin helpas!”,

kaj ŝiajn harojn, kiujn, min konsumi

Amoro igis lumi

ore kaj krispe, kaptus mi fervore

kaj ĝue, kaj ŝin tio plaĉus kore.

Se l’ belajn buklojn, kies plekto brila

kreiĝis por min vipi ĝis torporo,

ne kaptus, ho, de horo

matena, ilin tagojn kaj vesperojn

mi premus, ne indulga, nek ĝentila,

sed kiel urs’ en sia ŝerchumoro!

Se skurĝas min Amoro,

miloble mi revenĝus la suferojn,

pro kiuj mia koro flamas arde,

mi fiksus firmrigarde,

ke mi privenĝu ŝian fuĝan pason.

Kaj al si mi per amo donus pacon.

Kanzono, iru rekte al la damo,

kiu min vundis, kaj de mi forŝiras,

kion mi plej sopiras.

Flugigu al ŝi saĝon en la koron,

ke mi de l’ venĝo havu dolĉan gloron!

Dante Alighieri, trad. Kàlmàn Kalocsay

(“Tutmonda sonoro”, HEF, Budapest 1981, 2, p.302-303)

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