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Cinque Giornate di Milano

Il 18 marzo 1848 iniziò l’insurrezione di Milano contro il dominio austriaco nel Regno Lombardo-Veneto, conosciuta come “le cinque Giornate di Milano” perché durò 5 giorni (dal 18 al 22 marzo).
it.wikipedia.org/wiki/Cinque_giornate_di_Milano
L’insurrezione di Milano si inserì in una serie di rivolte popolari che caratterizzarono l’anno 1848 in tutta Europa (non solo in Italia, ma anche ad esempio a Vienna – con le dimissioni del Cancelliere Klemens von Metternich il 17 marzo, il giorno prima dell’insurrezione di Milano – e Berlino), tanto che in italiano è rimasto il modo di dire “fare un quarantotto” per significare “fare una grande confusione”.
Nel corso di violenti combattimenti il popolo innalzò nelle strade circa 1.700 barricate, utilizzando qualunque materiale avesse a disposizione; inoltre, disseminò le strade di vetri e ferri per ostacolare l’azione della cavalleria; ma all’inizio le armi da fuoco a disposizione erano così poche che vennero usate anche quelle esposte nei musei, e furono affidate soltanto ai tiratori più esperti (solo verso la fine delle cinque giornate gli insorti poterono impadronirsi delle armi abbandonate dagli austriaci in ritirata); furono costruite mongolfiere per poter inviare messaggi fuori della città in stato di assedio; furono stabilite vedette su torri e campanili; i Martinitt (bambini dell’orfanotrofio di San Martino) furono impiegati come staffette portaordini.
I caduti milanesi furono 141, soprattutto perché i soldati austriaci sparavano sulla folla dal tetto del Duomo (il fatto è ricordato, e pesantemente criticato, nel libro della baronessa austriaca di origine boema Bertha von Suttner, Premio Nobel per la pace nel 1905, “Die Waffen nieder!”, tradotto in italiano con i titolo “Giù le armi!” e in Esperanto (da Armand Caumont) con il titolo “For la batalilojn”). web.archive.org/web/20060131090056/http://82.182.30.179/inko/108-9.pdf
Alla fine, la guarnigione austriaca, forte di almeno 18.000 uomini al comando dell’ottantaduenne Josef Radetzky, abbandonò la città, ritirandosi nelle fortezze del cosiddetto “Quadrilatero” (Peschiera del Garda, Mantova, Legnago e Verona), mentre il 23 marzo (il giorno successivo alla fine vittoriosa dell’insurrezione popolare) l’esercito del Regno sabaudo di Sardegna varcava il confine del fiume Ticino in aiuto al Governo provvisorio istituito a Milano.
Era la prima guerra italiana d’indipendenza, che dopo episodi di valore (in particolare, a Goito, Pastrengo, Curtatone e Montanara)

Addio mia bella addio


si concluse con la pesante sconfitta sabauda di Custoza, e il nuovo ingresso degli austriaci a Milano il 5 agosto 1848.
L’esito sfavorevole della guerra fu dovuto, oltre che a ragioni strettamente militari, all’incertezza del Re di Sardegna Carlo Alberto, e alle discordie interne, dato che molti lombardi non gradivano affatto di passare dal dominio austriaco a quello sabaudo, mettendo Milano in subordine a Torino; inoltre, erano contrari all’intervento del Re di Sardegna sia i democratici riformisti (capeggiati da Carlo Cattaneo) sia i mazziniani repubblicani, ed erano favorevoli soltanto i nobili, che forse speravano di poter meglio conservare i loro privilegi in un regime monarchico.
Allego uno dei foglietti filatelici italiani del 2011, su bozzetto di Gaetano Ieluzzo, nella serie “I Protagonisti dell’Unità d’Italia”; questo presenta un ritratto di Carlo Cattaneo, tratto da una litografia di N. Amiotti risalente alla fine del XIX secolo (Roma, Museo Centrale del Risorgimento), insieme con un particolare della litografia di M. Dovera “Ricordo delle 5 giornate 1848 a Porta Vittoria” (Roma, Museo Centrale del Risorgimento).

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