Personaggi

Cavallina storna

Il 10 agosto è quasi obbligatorio, nella cultura italiana, ricordare la poesia del poeta romagnolo Giovanni Pascoli (1855-1912)

it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Pascoli

intitolata appunto “X Agosto”, in relazione alle stelle cadenti e all’assassinio del padre del poeta, avvenuto in circostanze misteriose, durante il ritorno a casa, il 10 agosto 1867 (giorno di San Lorenzo).

Ne ho già parlato un anno fa, il 10 agosto 2017:

www.bitoteko.it/esperanto-vivo/2017/08/10/dieci-agosto/

quindi oggi mi rifaccio ad un’altra poesia di Pascoli, ugualmente in rapporto con l’assassinio del padre, “La cavallina storna”. La trascrivo in italiano (con collegamento alla lettura di Nello Salatiello) e nella traduzione in Esperanto di Enrico de Montagù.

Allego il francobollo del 2005 della Repubblica di San Marino, per quella poesia.

A proposito: ecco il significato di “storno”, dal dizionario Zanichelli:

stórno (2) / ˈstorno/

[da storno (1), nel sign. già latino di ‘grigio come uno storno’ ☼ 1848]

agg.

● (zool.) detto di mantello equino grigio scuro disseminato di piccole e numerose macchie bianche che lo rendono simile al piumaggio dello storno | detto del cavallo che ha tale mantello: cavalla storna


LA  CAVALLA  STORNA

 

Nella Torre il silenzio era già alto.

Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

 

I cavalli normanni alle lor poste

frangean la biada con rumor di croste.

 

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,

nata tra i pini su la salsa spiaggia;

 

che nelle froge avea del mar gli spruzzi

ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

 

Con su la greppia un gomito, da essa

era mia madre; e le dicea sommessa:

 

”O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non ritorna;

 

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!

Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

 

il primo d’otto tra miei figli e figlie;

e la sua mano non toccò mai briglie.

 

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,

tu dài retta alla sua piccola mano.

 

Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,

tu dài retta alla sua voce fanciulla”.

 

La cavalla volgea la scarna testa

verso mia madre, che dicea più mesta:

 

”O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non ritorna;

 

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!

Con lui c’eri tu sola e la sua morte.

 

O nata in selve tra l’ondate e il vento,

tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso,

nel cuor veloce tu premesti il corso:

 

adagio seguitasti la tua via,

perché facesse in pace l’agonia…”.

 

La scarna lunga testa era daccanto

al dolce viso di mia madre in pianto.

 

”O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non ritorna;

 

oh! due parole egli dové pur dire!

E tu capisci, ma non sai ridire.

 

Tu con le briglie sciolte tra le zampe,

con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

 

con negli orecchi l’eco degli scoppi,

seguitasti la via tra gli alti pioppi:

 

lo riportavi tra il morir del sole,

perché udissimo noi le sue parole”.

 

Stava attenta la lunga testa fiera.

Mia madre l’abbracciò su la criniera.

 

”O cavallina, cavallina storna,

portavi a casa sua chi non ritorna!

 

a me, chi non ritornerà più mai!

Tu fosti buona… Ma parlar non sai!

 

Tu non sai, poverina; altri non osa.

Oh! ma tu devi dirmi una cosa!

 

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:

esso t’è qui nelle pupille fise.

 

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.

E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.

 

Ora, i cavalli non frangean la biada:

dormian sognando il bianco della strada.

La paglia non battean con l’unghie vuote:

dormian sognando il rullo delle ruote.

 

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:

disse un nome… Sonò alto un nitrito.

 

Giovanni Pascoli

 

 

LA  GRIZBLANKA  ĈEVALINO

 

Tra la Turo silent’ jam alta kuris,

de Rio Salto la poplar’ susuris.

 

La normandaj ĉevaloj ĉe stalfakoj

avenojn rompis kun grenkrustaj krakoj.

 

Ĉe l’ fundo estis ĉevalin’ sovaĝa,

naskita meze de l’ pinaro plaĝa;

 

marŝaŭm’ ankoraŭ estis en naztruoj

ŝiaj, kaj en l’ oreloj la marbruoj.

 

Estis ĉe ŝi, kubute sur la kripo,

mia patrin’; kaj flustris ŝia lipo:

 

“Ho ĉevalino, ĉevalin’ grizblanka,

portinta tiun, je reveno manka;

 

al vi kutima estis lia gesto!

Li lasis junan filon en la nesto;

 

la unuan el miaj ok geidoj,

kies manon neniam tuŝis bridoj.

 

Vi, kiu flanke sentas l’ uraganon,

atentu, ho, etulan lian manon.

 

Vi, amanta marbordon senvegetan,

aŭskultu lian voĉon infanetan”.

 

La ĉevalin’ kapon sekan etendis

al panjo mia, kiu tiel plendis:

 

“Ho ĉevalino, ĉevalin’ grizblanka,

portinta tiun, je reveno manka;

 

mi scias ke lin amis vi kun forto!

Kun li estis vi sola, kaj la morto.

 

Ho, naskita ĉe ond- kaj vent-murmuro,

en via kor’ fermiĝis la teruro;

sentinte laca la buŝferon bridan

en koron premis vi kuron rapidan:

 

daŭrigis vian vojon vi trotete

por ke agoniadu li kviete…”.

 

Apuda estis la kapeg’ gracia

al ploranta vizaĝ’ de panjo mia.

 

“Ho ĉevalino, ĉevalin’ grizblanka,

portinta tiun, je reveno manka;

 

ho, du vortojn li nepre devis diri!

Vi scias, sed ne povas vi rediri.

 

Vi, kun pende lasitaj kondukiloj,

kun fajro de l’ ekflam’ en la pupiloj,

 

kun la pafeĥo en l’ orel’ resona,

troton daŭrigis tra l’ poplar’ impona:

 

vi lin reportis je la sunsubiro

por ke al ni alvenu lia diro”.

 

La longa kap’ fiera komprenemis.

Ŝin ĉe l’ hararo panjo ĉirkaŭpremis.

 

“Ho ĉevalino, ĉevalin’ grizblanka,

vi lin reportis, je reveno manka!

 

tiun, kiu min lasos ĉiam sola!

Vi estis bona… Sed nun senparola!

 

Ne povas vi, kaj timas ul’ alia.

Sed! respondu al unu peto mia!

 

La viron vidis vi, je l’ murda ago:

en ĉi-pupil’ fiksiĝis la imago.

 

Kiu estis? Mi nomon diri provos.

Per Dia help’ vi respondsignon trovos”.

 

Ne manĝis la ĉevaloj grenporcion:

ili sonĝis la blankan vojan strion.

De l’ kavaj hufoj ĉesis la stampfadoj:

ili sonĝis pri daŭra rul’ de radoj.

 

Fingron patrino levis en soleno,

diris nomon… Eksonis alte heno.

 

Giovanni Pascoli, trad. Enrico de Montagu

(“L’Esperanto” 1936-2)

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