Eventoj

Pesto de Milano

La epidemio de “coronavirus” (kronviruso) alprenigis drastajn dispoziciojn por limigi la interpersonajn rilatojn: izolo de la rekte trafitaj komunumoj, limigoj de cirkulado, fermo de publikaj ejoj, eĉ redukto ĝis minimumo de la religiaj agadoj.

Ne ĉiuj akceptis favore ĉi tiujn dispoziciojn, taksatajn tro drastaj; sed estas interese vidi, kio okazis (pro troa facilanimeco) dum la pesto de Milano de 1630, priskribita en la historia romano de Alessandro Manzoni “I Promessi Sposi” (La Gefianĉoj).

Mi aldonas:

– el malnova gravuraĵo, ilustraĵon de la romano, 36-a ĉapitro (En la Lazareto): “La frato vokis per gesto la junulon, … kaj kiam li apudestis, la frato diris pli laŭte, al Lucia: “per la aŭtoritato, kiun mi ricevis de la Eklezio, mi deklaras vin sendevigita el la voto de virgeco”;

– la kovrilon de la versio al Esperanto (La Gefianĉoj) de “I Promessi sposi”.


(Sekvas traduko al Esperanto)

I decurioni avevan presa la risoluzione di chiedere al cardinale arcivescovo, che si facesse una processione solenne, portando per la città il corpo di san Carlo.

Il buon prelato rifiutò, per molte ragioni. Gli dispiaceva quella fiducia in un mezzo arbitrario, e temeva che, se l’effetto non avesse corrisposto, come pure temeva, la fiducia si cambiasse in iscandolo. Temeva di più, che, se pur c’era di questi untori, la processione fosse un’occasion troppo comoda al delitto: se non ce n’era, il radunarsi tanta gente non poteva che spander sempre più il contagio: pericolo ben più reale.

Ché il sospetto sopito dell’unzioni s’era intanto ridestato, più generale e più furioso di prima.

…..

Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de’ mali, irritati dall’insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire: e, come osservò acutamente, a questo stesso proposito, un uomo d’ingegno (P. Verri, Osservazioni sulla tortura: tom. 17, pag. 203.), le piace più d’attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi.

…..

Ma i decurioni, non disanimati dal rifiuto del savio prelato, andavan replicando le loro istanze, che il voto pubblico secondava rumorosamente. Federigo resistette ancor qualche tempo, cercò di convincerli; questo è quello che poté il senno d’un uomo, contro la forza de’ tempi, e l’insistenza di molti. 

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Al replicar dell’istanze, cedette egli dunque, acconsentì che si facesse la processione, acconsentì di più al desiderio, alla premura generale, che la cassa dov’eran rinchiuse le reliquie di san Carlo, rimanesse dopo esposta, per otto giorni, sull’altar maggiore del duomo.

Non trovo che il tribunale della sanità, né altri, facessero rimostranza né opposizione di sorte alcuna. Soltanto, il tribunale suddetto ordinò alcune precauzioni che, senza riparare al pericolo, ne indicavano il timore. Prescrisse più strette regole per l’entrata delle persone in città; e, per assicurarne l’esecuzione, fece star chiuse le porte: come pure, affine d’escludere, per quanto fosse possibile, dalla radunanza gli infetti e i sospetti, fece inchiodar gli usci delle case sequestrate.

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Tre giorni furono spesi in preparativi: l’undici di giugno, ch’era il giorno stabilito, la processione uscì, sull’alba, dal duomo. Andava dinanzi una lunga schiera di popolo, donne la più parte, coperte il volto d’ampi zendali, molte scalze, e vestite di sacco. Venivan poi l’arti, precedute da’ loro gonfaloni, le confraternite, in abiti vari di forme e di colori; poi le fraterie, poi il clero secolare, ognuno con l’insegne del grado, e con una candela o un torcetto in mano. Nel mezzo, tra il chiarore di più fitti lumi, tra un rumor più alto di canti, sotto un ricco baldacchino, s’avanzava la cassa, portata da quattro canonici, parati in gran pompa, che si cambiavano ogni tanto. Dai cristalli traspariva il venerato cadavere, vestito di splendidi abiti pontificali, e mitrato il teschio;.

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Dietro la spoglia del morto pastore, e vicino a lui, come di meriti e di sangue e di dignità, così ora anche di persona, veniva l’arcivescovo Federigo. Seguiva l’altra parte del clero; poi i magistrati, con gli abiti di maggior cerimonia; poi i nobili, quali vestiti sfarzosamente, come a dimostrazione solenne di culto, quali, in segno di penitenza, abbrunati, o scalzi e incappati, con la buffa sul viso; tutti con torcetti. Finalmente una coda d’altro popolo misto.

Tutta la strada era parata a festa; i ricchi avevan cavate fuori le suppellettili più preziose; le facciate delle case povere erano state ornate da de’ vicini benestanti, o a pubbliche spese; dove in luogo di parati, dove sopra i parati, c’eran de’ rami fronzuti; da ogni parte pendevano quadri, iscrizioni, imprese; su’ davanzali delle finestre stavano in mostra vasi, anticaglie, rarità diverse; per tutto lumi. A molte di quelle finestre, infermi sequestrati guardavan la processione, e l’accompagnavano con le loro preci. L’altre strade, mute, deserte; se non che alcuni, pur dalle finestre, tendevan l’orecchio al ronzìo vagabondo; altri, e tra questi si videro fin delle monache, eran saliti sui tetti, se di lì potessero veder da lontano quella cassa, il corteggio, qualche cosa.

La processione passò per tutti i quartieri della città: a ognuno di que’ crocicchi, o piazzette, dove le strade principali sboccan ne’ borghi, e che allora serbavano l’antico nome di carrobi, ora rimasto a uno solo, si faceva una fermata, posando la cassa accanto alla croce che in ognuno era stata eretta da san Carlo, nella peste antecedente, e delle quali alcune sono tuttavia in piedi: di maniera che si tornò in duomo un pezzo dopo il mezzogiorno.

Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava quella presontuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la processione dovesse aver troncata la peste, le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città, a un tal eccesso, con un salto così subitaneo, che non ci fu chi non ne vedesse la causa, o l’occasione, nella processione medesima. Ma, oh forze mirabili e dolorose d’un pregiudizio generale! non già al trovarsi insieme tante persone, e per tanto tempo, non all’infinita moltiplicazione de’ contatti fortuiti, attribuivano i più quell’effetto; l’attribuivano alla facilità che gli untori ci avessero trovata d’eseguire in grande il loro empio disegno.

…..

Da quel giorno, la furia del contagio andò sempre crescendo: in poco tempo, non ci fu quasi più casa che non fosse toccata: in poco tempo la popolazione del lazzeretto montò da duemila a dodici mila: più tardi, al dir di quasi tutti, arrivò fino a sedici mila. Il 4 di luglio la mortalità giornaliera oltrepassava i cinquecento. Più innanzi, e nel colmo, arrivò, secondo il calcolo più comune, a mille dugento, mille cinquecento; dopo la peste, si trovò la popolazion di Milano ridotta a poco più di sessantaquattro mila anime, e prima passava le dugento cinquanta mila. 

Alessandro Manzoni, “I Promessi Sposi”, cap. XXXII

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(traduko):

La dekestroj decidis peti la kardinalon ĉefepiskopon rajtigi solenan procesion, portante tra la urbo la korpon de sankta Karlo. 

La bonvirta prelato rifuzis pro multaj kialoj. Li ne ŝatis tian konfidon je arbitra  rimedo, kaj li timis ke, se la dezirata efiko ne okazos, afero kiun li mem timis, tiu konfido ŝanĝiĝos al skandalo . Eĉ pli multe li timis ke, se ekzistas da tiaj ŝmiristoj, la procesio havigos al ili tro facilan oportunon por krimado; se ne ekzistas, la amasiĝo de tiom da homoj nur estigus pluan disvastigon de la kontaĝo: kio estas danghero ege pli reala.

Fakte la intertempe kvietigita suspekto pri ŝmiraĵoj nun revekiĝis pli ĝenerala kaj furioza ol antaŭe. 

…..

La animoj, pli kaj pli afliktite pro la aktualaj malfeliĉoj, agacite pro la senĉesa danĝero, pli volonte akceptis tiun kredaĵon: ĉar kolero aspiras al puno, kaj preferas kulpigi pri malbono homan malicon, kontraŭ kiu eblas venĝi, ol kaŭzon, kontraŭ kiu nur eblas rezignacio. 

…..

Sed la dekestroj, ne senkuraĝigite per la rifuzo de l’ saĝa prelato, pliigis siajn insistojn, kiujn la popolo brue favoris. Federigo kontraŭstaris ankoraŭ iomtempe, klopodis ilin konvinki: nur tiom povis la saĝo de unuopulo kontraŭ la forton de la epoko kaj la insiston de multaj. 

…..

Post ripetaj petoj, li do cedis, konsentis efektivigon de la procesio, konsentis ankaŭ la deziregon, la publikan insiston, ke la ĉerko enhavanta la relikvojn de sankta Karlo, restu elmetita dum unu semajno sur la katedrala ĉef-altaro. 

Mi ne trovas, ke la sanitara tribunalo aŭ aliaj faris ajnan proteston aŭ opozicion. Nur tio: la supre dirita tribunalo ordonis antaŭzorgojn, kiuj, ne evitante la danĝeron, tamen montris pri ĝi timon. Ĝi preskribis pli severajn regulojn pri eniro de personoj en la urbon; kaj por garantii ilian plenumon, ĝi ordonis ke la pordegoj restu fermitaj; kaj krome, por laŭeble ekskluzivi el la amasiĝo la pestulojn kaj la suspektindajn, ĝi ordonis najlo-fermi la pordojn de l’ domoj trud-izolitaj.

La preparo daŭris tri tagojn: en la fiksita tago, nome dekunua de junio, la procesio eliris de la katedralo ĉe l’ tagiĝo. Antaŭiris longa amaso da popolo, plejparte virinoj kun la vizaĝoj kovritaj per larĝaj vualoj, multaj nudpiedaj kaj vestitaj per sakaĵo. Poste venis la korporacioj, ĉiu sekve al sia standardo, la frataroj en diversformaj kaj diverskoloraj roboj, poste monakaroj, poste pastraro, ĉiu kun la insignoj de sia rango, kaj kun kandelo aŭ torĉeto enmane. Meze, tra l’ brilo de pli densaj lumiloj, tra pli laŭta bruo de ĉantoj, sub riĉa baldakeno, iris la ĉerko,  ŝultre portata de po kvar kanonikoj, pompege vestitaj, kiuj alternis de temp’ al tempo. Tra la kristaloj vidiĝis la respektegata kadavro vestita per riĉaj episkopaj ornatoj, kaj kun mitro surkranie: en la stumpaj kaj malkunigitaj formoj, oni povis ankoraŭ distingi trajtojn de l’ iama aspekto, kia ĝin prezentis bildoj, kaj kia ĝin memoris iuj vidinte lin viva. Malantaŭ la kadavro de l’ mortinta paŝtisto, kaj al li tute proksime paŝis ĉefepiskopo Federigo, same proksima al li laŭ merito, parenceco kaj rango. Sekvis la cetera pastraro, poste urbestraro en plej solenaj vestaĵoj; pli poste nobeloj, iuj luksege vestite, kvazaŭ por montri solenan kulton, aliaj, pentofare, funebre vestite, aŭ nudpiedaj, aŭ mantel-kovritaj, kun tutvizaĝa kapuĉo; ĉiuj kun torĉetoj. Fine, longa vico da alia diversa popolamaso.

La tuta vojo estis feste ornamita: riĉuloj estis elmetintaj siajn plej valorajn garnaĵojn; fasadoj de malriĉaj domoj estis ornamitaj fare de riĉo-havaj najbaroj aŭ je publikaj elspezoj; frondo-riĉaj branĉoj pendis jen anstataŭ ornamaĵoj, jen sur la ornamaĵoj mem; ĉie pendis bildoj, skribaĵoj, ŝildoj; sur fenestro-bretoj elmontriĝis vazoj, antikvaĵoj, diversaj raraĵoj; ĉie lumiloj. El multe da tiuj fenestroj, trud-izolitaj malsanuloj rigardis la procesion kaj akompanis ĝin per preĝoj. La ceteraj stratoj estis mutaj kaj senhomaj; sed iuj el fenestroj streĉis la orelojn al tiu vaganta zumado; aliaj, inter kiuj vidiĝis eĉ monakinoj, supren-grimpis tegmentojn por laŭeble vidi de malproksime tiun ĉerkon, ties sekvantaron, ion ajn. 

La procesio pasis tra ĉiuj urbo-kvartaloj: ĉe ĉiu voj-kruciĝo aŭ placeto, kie la ĉefaj stratoj eniras en la kvartalojn, kaj kiuj tiam ankoraŭ havis la antikvan nomon carrobi-oj, nuntempe gardatan de nur unu el ili, oni haltis, demetante la ĉerkon apud la kruco, starigita en ĉiu el ili fare de sankta Karlo mem, okaze de la antaŭa pesto, kaj el kiuj kelke ankoraŭ staras. Tial oni revenis katedralen longe post tagmezo. 

Kaj jen, la postan tagon, ĝuste dum regis tiu tro-fidemo, kaj en multaj eĉ fanatika sekureco, ke la procesio nepre ĉesigis peston, la mortoj plimultiĝis, en ĉiu socia klaso, en ĉiuj urbo-partoj, tiel abunde kaj tiel subite, ke ĉiuj nepre vidis ties kaŭzon aŭ okazigon en la procesio mem. Sed, ho mirinda kaj bedaŭrinda forto de ĝenerala antaŭjuĝo! la plejmulto kulpigis pri tio tute ne tiel longan kunestadon de tia homamaso, tute ne tian multobliĝon de hazardaj kontaktoj; sed ja tion, ke la ŝmiristoj povis pli facile plenumi sian fian planon.

…..

De post tiu tago la furiozo de l’ kontaĝo pliiĝis konstante: en nelonga tempo, preskaŭ ne troviĝis netuŝita domo. En nelonga tempo la lazaretanoj, laŭ la citita Somaglia, plimultiĝis de du ĝis dekdu mil: pli poste, laŭ preskaŭ ĉiuj historiistoj, ilia nombro atingis dekses mil. La 4-an de julio, la ĉiutaga mortado superis kvincenton. Pli poste, kaj kulmine, laŭ plej komuna kalkul-konjekto, ĝi atingis ĝis mil ducent, mil kvincent; post la pesto, la Milana loĝantaro malaltiĝis al nemulte pli ol sesdek kvar mil animoj, dum antaŭe ĝi estis super ducent kvindek mil.

Alessandro Manzoni, “I Promessi Sposi” (La gefianĉoj), ĉap. 32-a, 

trad. Battista Cadei

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