Eventoj

Jen la homo

La 19-an de aprilo 2019 (Sanktan Vendredon) la katolika Eklezio memorigas la proceson, la kondamnon kaj la krucumadon de Jesuo Kristo.
Mi transskribas (aldonante la tradukon al Esperanto) kelkajn erojn el la libro de Gustavo Zagrebelsky “Il «crucifige!» e la democrazia” (La “Krucumu!” kaj la demokratio), Einaudi, Torino, 1995, kiu atentigas kontraŭ interpretoj, kiuj stratumiĝis de jarcentoj:
– Pilato, simbolo de la malkuraĝo kaj de la alligiteco al la povo de la politikistoj, sed ankaŭ ekzemplo de estro, kiu, en pridebatata demando, turniĝas “demokrate” al la popolo kaj konformiĝas al ĝia decido;
– la fariseoj kaj la ĉefpastroj, simboloj de la malico kaj de la komplota pensmaniero de ĉiu povokliko;
– la homamaso de Jerusalemo, simbolo de ĉiuj senformaj popolaj amasoj, manipuleblaj de la agitistoj;
– la juda popolo, simbolo de ĉiuj persekutantoj de propra mesio.
Mi aldonas la bildon de la fama pentraĵo de Antonio Ciseri (1821-1891) “Ecce Homo” (Pilato montras Jesuon al la popolo), Lugano, Kantona Muzeo.


(segue traduzione in Esperanto)

>Si era dato un contrasto tra Pilato, il procuratore romano della Giudea, e il Sinedrio di Gerusalemme, la massima autorità ebraica. La posta in gioco era la vita di Gesù. Tra l’imposizione di una decisione unilaterale, la liberazione di Gesù con un atto d’imperio che al procuratore era certamente consentito, e la resa ai notabili del Sinedrio che chiedevano la conferma della condanna a morte che essi avevano già pronunciato, Pilato scelse un’altra possibilità e apri una procedura «democratica», appellandosi al popolo.
La decisione finale fu presa nel crescendo impressionante di fanatismo popolare che Marco (15, 6-15), tra tutti gli evangelisti, racconta nel modo più vivido:

6 A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. 7 Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. 8 La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. 9 Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». 10 Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. 11 Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. 12 Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». 13 Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». 14 Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». 15 Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Che cosa vedere in questo grido? A prima vista, un inconfutabile argomento contro la democrazia. Secondo verità e giustizia, il dilemma che i Vangeli dicono essere stato sottoposto al popolo – Gesù o Barabba – non avrebbe potuto consentire dubbi. Il popolo, infatti, non esitò. Ma la decisione che prese fu, scandalosamente, l’altra. In quest’episodio, da duemila anni, verità e giustizia testimoniano per l’appunto contro la democrazia.
Per allontanare lo scandalo di quel grido, noi possiamo soltanto rifiutare il contenuto di valore della scelta proposta alla folla: dobbiamo considerare equivalenti Gesù e Barabba e indifferente la scelta a favore della vita e della morte dell’uno o dell’altro.
È quanto ha fatto Hans Kelsen, nella sua riflessione sulla democrazia. In un breve paragrafo, dal titolo Gesù e la democrazia, che chiude uno dei suoi capolavori: Essenza e valore della democrazia del 1929, egli ricostruisce la narrazione del dialogo tra Gesù e Pilato sulla verità come uno scontro che, «senza averne l’intenzione, diviene un tragico simbolo dell’antagonismo tra assolutismo e relativismo». E prende cosi posizione tra i due, dal punto di vista della democrazia: «Pilato, poiché era un relativista scettico e non sapeva che cosa fosse la verità, la verità assoluta in cui quell’uomo credeva, agì in modo democratico – con assoluta coerenza – rimettendo la decisione del caso al voto del popolo. Per coloro che credono nel figlio di Dio e re dei Giudei come testimone della verità assoluta, questo plebiscito è certamente un serio argomento contro la democrazia. Noi scienziati della politica dobbiamo accettare questo argomento, ma solo a una condizione: di essere tanto sicuri della nostra verità politica da imporla, se necessario, con lacrime e sangue; di essere tanto sicuri della nostra verità quanto il Figlio di Dio era sicuro della propria».
Gesù, forte della sua verità, sarebbe il campione dell’anti-democrazia, cioè dell’autocrazia, mentre il personaggio positivo dal punto di vista democratico sarebbe Pilato.
Sono conclusioni che paiono difficilmente accettabili.
La tesi mia è diversa. Sia il dogmatico che lo scettico possono essere amici della democrazia, ma solo come falsi amici. Il dogmatico può accettare la democrazia solo se e fino a quando serve come forza, una forza indirizzata a imporre la verità. Lo scettico, a sua volta, poiché non crede in nulla, può tanto accettarla quanto ripudiarla. Se è davvero scettico, non troverà nessuna ragione per preferire la democrazia all’autocrazia. O meglio, troverà una ragione non nella fede in qualche principio, ma in una convenienza. Potrà cioè essere democratico, fino a quando lo sarà, non per idealismo ma per il realismo del proprio interesse, cioè per opportunismo.
Ecco abbozzate due mentalità, due forme di pensiero: del dogmatico e dell’opportunista. Tutte e due, in determinate circostanze, possono essere compatibili con la democrazia, anzi possono perfino abbracciarla con enfasi e così apparire addirittura ultra- o iperdemocratiche. Ma la loro, in ogni caso, dietro le apparenze, non è un’adesione ma piuttosto un’adulazione interessata. Esse non servono la democrazia, ma se ne servono, se e fino a quando può servire.
A questi due modi di pensiero – opposti nel fondamento ma convergenti nella strumentalizzazione – una teoria della democrazia come fine e non solo come mezzo deve saperne contrapporre un altro, che non presuma di possedere la verità e la giustizia ma nemmeno ne consideri insensata la ricerca. È questo il pensiero della possibilità, che è proprio di coloro che rigettano tanto l’arroganza della verità posseduta quanto la rinuncia della realtà accettata. Il pensiero della possibilità contiene sempre e di nuovo l’apertura alla ricerca e il suo postulato è la strutturale plurivalenza di ogni situazione in cui ci si venga a trovare. La sua esigenza etica non è la verità o la giustizia assolute, come per lo spirito dogmatico, ma, tra tutte le possibilità, la ricerca orientata al meglio, un’esigenza che soltanto lo spirito radicalmente scettico potrebbe negare, in nome di una tentazione assolutistica rovesciata.
Gustavo Zagrebelsky “Il «crucifige!» e la democrazia” (Einaudi, Torino, 1995)

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(traduko al Esperanto):

>Okazis malakordo inter Pilato, la roma prokuratoro de Judujo, kaj la Sinedrio de Jerusalemo, la plej alta juda instanco. La vetaĵo estis la vivo de Jesuo. Inter la altrudo de unuflanka decido, la liberigo de Jesuo per aŭtoritata ago, kiu certe estis ebla al la prokuratoro, kaj la cedo al la elstaruloj de la Sinedrio, kiuj petis la konfirmon de la mortokondamno jam de ili eldirita, Pilato elektis alian eblecon, kaj malfermis «demokratan» proceduron, alvokante al la popolo.
La fina decido estis alprenita en la impresa kresko de popola fanatikeco, kiun Marko (15, 6-15), inter ĉiuj evangeliistoj, rakontas en la plej vigla maniero:

6 Ĉe tiu festo li kutimis liberigi al ili unu malliberulon, iun ajn, kiun ili pripetis. 7 Kaj estis unu, nomata Barabas, katenita kun la ribelintoj, kiuj en la ribelo faris mortigon. 8 Kaj suprenveninte, la homamaso komencis peti lin pri tio, kion li kutimis fari por ili. 9 Kaj Pilato respondis al ili, dirante: Ĉu vi volas, ke mi liberigu al vi la Reĝon de la Judoj? 10 Ĉar li eksciis, ke pro envio la ĉefpastroj transdonis lin. 11 Sed la ĉefpastroj instigis la homamason, ke prefere li liberigu al ili Barabason. 12 Kaj Pilato, denove respondante, diris al ili: Kion do mi faru al tiu, kiun vi nomas Reĝo de la Judoj? 13 Kaj ili denove ekkriis: Krucumu lin. 14 Kaj Pilato diris al ili: Kial? kian malbonon li faris? Sed ili des pli ekkriis: Krucumu lin. 15 Kaj Pilato, volante kontentigi la homamason, liberigis al ili Barabason, kaj, skurĝinte Jesuon, transdonis lin, por esti krucumita.

Kion vidi en ci tiu krio? Unuavide, nerefutebla argumento kontraŭ demokratio. Laŭ vero kaj justo la dilemo, kiu laŭ la Evangelioj estis elmetita al la popolo – Jesuo aŭ Barabaso – ne estus povinta ebligi dubojn. La popolo, fakte, ne hezitis, Sed la alprenita decido estis, skandale, la alia. En ĉi tiu epizodo, de dumil jaroj, vero kaj justo atestas ĝuste kontraŭ demokratio.
Por forigi la skandalon de tiu krio, ni nur povas malakcepti la valor-enhavon de la elekto proponita al la homamaso: ni devas taksi egalvaloraj Jesuon kaj Barabason, kaj indiferenta la elekton favore al la vivo kaj al la morto de unu aŭ de la alia.
Tion faris Hans Kelsen, en sia medito pri demokratio. En mallonga ĉapitro, titolita Jesuo kaj demokratio, kiu fermas unu el liaj ĉefverkoj: Esenco kaj valoro de demokratio, de 1929, li rekonstruas la rakonton de la dialogo inter Jesuo kaj Pilato pri la vero kiel kunpuŝigo, kiu «senintence, fariĝas tragika simbolo de la antagonismo inter absolutismo kaj relativismo». Kaj tiamaniere li alprenas pozicion inter la du, el la vidpunkto de demokratio: «Pilato, ĉar li esti skeptika relativisto kaj ne sciis, kio estas la vero, la absoluta vero, en kiu tiu homo kredis, agis en demokrata maniero – kun absoluta kohereco – konfidante la bezonatan decidon al la voĉdono de la popolo. Por tiuj, kiuj kredas en la filo de Dio kaj reĝo de la Judoj kiel atestanto pri la absoluta vero, tiu plebiscito estas sendube serioza argumento kontraŭ demokratio. Ni sciencistoj pri politiko devas akcepti ĉi tiun argumenton, sed nur je unu kondiĉo: ke ni estu tiom certaj pri nia politika vero, ke ni altrudu ĝin, se necese, per larmoj kaj sango; ke ni estu tiom certaj pri nia vero, kiom la Filo de Dio estis certa pri la sia».
Jesuo, baziĝanta sur sia vero, estus la ĉampiono de kontraŭdemokratio, nome, de aŭtokrateco, dum el la demokrata vidpunkto la pozitiva rolulo estus Pilato.
Tiuj konkludoj aspektas malfacile akcepteblaj.
Mia tezo estas malsama. Jen la dogmemulo jen la skeptikulo povas esti amikoj de demokratio, sed nur kiel ŝajnaj amikoj. La dogmemulo povas akcepti demokration nur se kaj dum ĝi utilas kiel forto aldirektita al la altrudo de la vero. La skeptikulo, siavice, ĉar li kredas nenion, povas jen akcepti jen malakcepti ĝin. Se li estas vere skeptika, li trovos neniun kialon por preferi demokration al aŭtokrateco. Aŭ pli bone, li trovos kialon ne en la fido je iu principo, sed en iu oportuno. Nome, li povos esti demokrato, dum li estos tia, ne pro idealismo, sed pro la realismo de propra intereso, nome, pro profitemo.
Jen skizitaj du pensmanieroj, du formoj de pensado: de la dogmemulo kaj de la profitemulo. Ili ambaŭ, en difinitaj cirkonstancoj, povas esti akordigeblaj kun demokratio, eĉ, ili povas aliĝi al ĝi kun emfazo kaj tial aperi tro-demokrataj aŭ superdemokrataj, Sed, malantaŭ la ŝajnoj, tiu ilia ne estas aliĝo, sed pli ĝuste interesohava flatado. Ili ne servas al la demokratio, sed utiligas ĝin por propraj interesoj, se kaj dum ĝi povas utili.
Al ĉi tiuj du pensmanieroj – kontraŭaj en la fundamento, sed konverĝaj en la instrumentigo – iu teorio pri demokratio kiel celo kaj ne nur kiel rimedo devas kapabli kontraŭmeti alian, kiu ne trofidu posedi la veron kaj la juston, sed ankaŭ ne taksu sensenca ilian serĉadon. Ĝi estas la penso pri la ebleco, kiu estas propra de tiuj, kiuj malakceptas jen la arogantecon de la jam posedata vero, jen la rezigno pri la akceptita vero. La penso pri la ebleco entenas ĉiam kaj denove la malfermitecon al la serĉado, kaj ĝia postulato estas la struktura plurvaloro de ĉiu situacio, en kiun oni trafu. Ĝia etika postulo ne estas la absoluta vero aŭ justo, kiel ĉe la dogmemulo, sed, inter ĉiuj eblecoj, la serĉado orientita al la plejbono, iu postulo, kiun nur spirito radikale skeptika povus nei, en la nomo de renversita absolutisma tento.
Gustavo Zagrebelsky “Il «crucifige!» e la democrazia” (Einaudi, Torino, 1995)
trad. Antonio De Salvo

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