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Campaldino

L’11 giugno è l’anniversario della battaglia di Campaldino (1289),
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nella quale i guelfi sostenitori del Papa (soprattutto fiorentini, ma anche bolognesi, pratesi, lucchesi, pistoiesi, senesi), guidati tra gli altri da Corso Donati,

Dino Compagni


sconfissero i ghibellini sostenitori dell’Imperatore (principalmente aretini), guidati al Vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini, “uomo d’armi” più che “uomo di Chiesa”, il quale era ipocritamente armato di mazza, in quanto i chierici non dovevano “spargere sangue” in battaglia.
Quella battaglia, al di là dell’importanza militare e storica (poiché segnò l’affermazione della supremazia fiorentina sulle altre città della Toscana), è ricordata perché ne ebbe un cronista d’eccezione: Dante Alighieri, il quale prese parte alla battaglia, e ne parlò nella Divina Commedia (Purgatorio V, 85-129), presentando con rispetto la figura di un avversario, il ghibellino Bonconte da Montefeltro (1250-1289), che morì nella battaglia, ma il cui corpo non fu mai ritrovato (Dante immagina che in punto di morte Bonconte si sia pentito dei propri peccati, e che il suo corpo sia stato portato via da un fiume, ingrossatosi improvvisamente per l’abbondante pioggia).
Alla battaglia di Campaldino prese parte (ugualmente tra i guelfi) anche un altro poeta, il senese Cecco Angiolieri (1260-1313); fortunatamente, entrambi sopravvissero.

Cecco Angiolieri


Trascrivo (in italiano e in una delle traduzioni in Esperanto) i versi di Dante Alighieri, ed allego un francobollo del 1965 del Principato di Andorra, per il settimo centenario della nascita del poeta.


Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l’alto monte,
87 con buona pietate aiuta il mio!

Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
90 per ch’io vo tra costor con bassa fronte».

E io a lui: «Qual forza o qual ventura
ti traviò sì fuor di Campaldino,
93 che non si seppe mai tua sepultura?».

«Oh!», rispuos’elli, «a piè del Casentino
traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,
96 che sovra l’Ermo nasce in Apennino.

Là ‘ve ‘l vocabol suo diventa vano,
arriva’ io forato ne la gola,
99 fuggendo a piede e sanguinando il piano.

Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini’, e quivi
102 caddi, e rimase la mia carne sola.

Io dirò vero, e tu ‘l ridì tra ‘ vivi:
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
105 gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?

Tu te ne porti di costui l’etterno
per una lagrimetta che ‘l mi toglie;
108 ma io farò de l’altro altro governo!”.

Ben sai come ne l’aere si raccoglie
quell’umido vapor che in acqua riede,
111 tosto che sale dove ‘l freddo il coglie.

Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo ‘ntelletto, e mosse il fummo e ‘l vento
114 per la virtù che sua natura diede.

Indi la valle, come ‘l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
117 di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento,

sì che ‘l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a’ fossati venne
120 di lei ciò che la terra non sofferse;

e come ai rivi grandi si convenne,
ver’ lo fiume real tanto veloce
123 si ruinò, che nulla la ritenne.

Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
126 ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce

ch’i’ fe’ di me quando ‘l dolor mi vinse;
voltommi per le ripe e per lo fondo,
129 poi di sua preda mi coperse e cinse».

°°°°°

Alia diris: «Havu plenan saton
via deziro paŝi plu ĉi-monte:
87 al mia peto havu nun kompaton!

Mi is el Montefeltro, as Bonconte:
Giovanna kaj l’ aliaj min forgesis;
90 inter ĉi tiuj mi nun vagas honte».

«Ĉu kaz’ aŭ sorĉo», vorton mi adresis,
vin trenis tiom for de Campaldino,
93 ke l’ tombon trovi oni ne sukcesis?».

«Ho!», li respondis min, «tra Casentino
fluas Archiano, akvo sinderula
96 de super l’ ermitej’ en Apenino.

Mi, kie ĝia nomo iĝas nula,
ekvenis, vundborite ĉe la kolo,
99 kaj l’ grundon signis fuĝe sangmakula.

Mi perdis ĉi la vidon; la parolo
en nomo de Maria haltis muta;
102 mi falis; restis nur la korp’ en solo.

Diru la veron al la mondo tuta.
Angelo min ekprenis. “Vi perfortas!”,
105 diablo kriis per opon’ disputa.

“Vi la eternan eston kun vi portas:
prirabas min pro unu eta larmo,
108 sed traktos mi la parton, kiu mortas”.

Vi scias, ke l’ malseka vaporsvarmo
densigas sin al akvoakumulo,
111 venante en la lokon de l’ malvarmo.

Ekagis tiu fia malbonulo:
sin movis vento kaj vapora fumo,
114 per pov’ al li donita de l’ naturo.

Super la valo, post subir’ de l’ suno,
de Pratomagno al la jug’ li plektis
117 egan nebulon en ĉielmallumo.

En akvon la vaporo sin kolektis;
ekpluvis; ne sorbite de la grundo,
120 la akvo en fosaĵojn sin direktis;

torentojn hastis la superabundo;
en la riveron reĝan sin enpuŝis
123 la netenebla rabo de l’ inundo.

La frosta korpo enflueje kuŝis:
Archiano raba ĝin en Arnon ĵetis
126 kaj de la brust’ la krucon for detuŝis,

kiun mi faris, dum dolor’ impetis;
de bord’ al fundo min disbatis l’ ondo,
129 per sia predo volvis kaj submetis».

Dante Alighieri, Purgatorio 5, 85-129
trad. Enrico Dondi (Fonto, Chapecò, 2006)

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