Personaggi

Giuseppe Parini

Il 23 maggio è l’anniversario della nascita (nel 1729) del poeta e letterato italiano (lombardo, nato quando la Lombardia faceva parte dell’Impero Austriaco) Giuseppe Parini (1729-1799),
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uno dei principali esponenti in Italia dell’Illuminismo, di cui condivideva molte idee (l’eguaglianza degli uomini; l’umanitarismo; la solidarietà sociale; la critica della religiosità ipocrita; la condanna delle guerre di religione e dei metodi dell’Inquisizione), mentre ne rifiutava altre (in particolare: il materialismo, il libertinismo, l’ateismo).
Parini (che aveva abbracciato la vita ecclesiastica non tanto per vocazione religiosa quanto per trovare una sicurezza economica ed una posizione sociale) fu famoso, in vita, soprattutto quale conferenziere, professore universitario di eloquenza (letteratura) e belle arti, poeta di Corte e linguista (sosteneva l’uso di un linguaggio semplice e naturale, e difese con passione la dignità del dialetto, quale strumento di espressione immediata dei sentimenti), mentre furono accolte con critiche contrastanti le prime due parti (“Il mattino” e “Il mezzogiorno”) del poema (“Il giorno”) che, una volta pubblicato più o meno integralmente dopo la morte, gli dette una fama imperitura, quale rappresentazione ironicamente critica della vita fatua della aristocrazia ormai al tramonto. D’altra parte, l’impegno morale causò a Parini ostilità e dignitosa povertà (come appare nell’Ode “La caduta”).
Ho detto “più o meno integralmente” perché i nipoti di Parini, eredi testamentari di tutti i beni dello zio, misero immediatamente all’asta i manoscritti che non dettero alle fiamme, per cui solo nel 1801-1804 fu possibile una prima edizione delle opere in sei volumi, grazie al fedele allievo Francesco Reina, che a fatica era riuscito ad acquistare una parte dei manoscritti (ora conservati nella Biblioteca Ambrosiana di Milano).
È tuttora controversa (malgrado una recente edizione critica) l’esatta consistenza del poemetto “Il Giorno”, in quanto le varie edizioni che si sono succedute in oltre due secoli hanno spesso messo insieme brani dei diversi manoscritti, sicché del testo esistono varie versioni, nessuna delle quali può dirsi con sicurezza quella concepita dall’autore.
Nella cultura italiana, Giuseppe Parini occupa un posto importante anche per un motivo estraneo alla sua poesia.
Quando morì, infatti, per sua disposizione testamentaria la cerimonia funebre fu molto sobria (lasciò scritto: “Voglio, ordino e comando che le spese funebri mi siano fatte nel più semplice e mero necessario, ed all’uso che si costuma per il più infimo dei cittadini”).
Inoltre, in base alle nuove disposizioni cimiteriali, la sepoltura non poté avvenire in una chiesa, ma ebbe luogo in un normale cimitero (quello di Porta Comacina a Milano); ben presto la tomba fu dimenticata, e le ossa andarono disperse, con la conseguente ira del poeta Ugo Foscolo nel poema “De’ Sepolcri”:

Ugo Foscolo – Dei sepolcri

Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro
con lungo amore, e t’appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de’ buoi
che dagli antri abduani e dal Ticino
lo fan d’ozi beato e di vivande.
In Esperanto esiste la traduzione di questi brani:
– “Il Giorno”, trad. Luigi Minnaja, Itala Antologio, COEDES/ FEI 1987, p. 275-281: Introduzione (Enkonduko), vv 1-15; Sorge il mattino (Maten’ leviĝas), vv 36- 64); Il risveglio (La vekiĝo), vv 101-124; Il gran lavoro (La granda laboro), vv 261-291; La vergine cuccia (La virga hundineto), vv 657-703;
– l’ode “La caduta” (La falo), trad. Clelia Conterno Guglielminetti, Itala Antologio, COEDES/ FEI 1987, p. 271-275;
– la cicalata in versi “I ciarlatani”, trad. Fidia Cesarini, “L’Esperanto” 1921-10, p. 149-152.
Inoltre, esiste la traduzione (di Giancarlo Guarnieri, nella “Itala Antologio”, p. 299-303) di due lettere (del 27 ottobre e del 4 dicembre 1798) da “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo, che hanno ad oggetto l’ultimo colloquio con Parini.
Trascrivo l’Ode “La caduta”, in italiano e nella versione in Esperanto, ed allego un francobollo maltese del 2009, per l’Anno Internazionale dell’Astronomia, con la costellazione di Orione, perfettamente visibile soprattutto da novembre a maggio, nel periodo più freddo dell’anno:
it.wikipedia.org/wiki/Orione_(costellazione)


LA CADUTA

 

Quando Orion dal cielo
declinando imperversa;
e pioggia e nevi e gelo
sopra la terra ottenebrata versa,

 

me, spinto ne la iniqua
stagione, infermo il piede,
tra il fango e tra l’obliqua
furia de’ carri la città gir vede;

 

e per avverso sasso
mal fra gli altri sorgente,
o per lubrico passo
lungo il cammino stramazzar sovente.

 

Ride il fanciullo; e gli occhi
tosto gonfia commosso,
che il cubito o i ginocchi
me scorge o il mento dal cader percosso.

 

Altri accorre; e: “Oh infelice
e di men crudo fato
degno vate!” mi dice;
e seguendo il parlar, cinge il mio lato

 

con la pietosa mano;
e di terra mi toglie;
e il cappel lordo e il vano
baston dispersi ne la via raccoglie:

 

“Te ricca di comune
censo la patria loda;
te sublime, te immune
cigno da tempo che il tuo nome roda

 

chiama gridando intorno;
e te molesta incìta
di poner fine al Giorno,
per cui cercato a lo stranier ti addita.

 

Ed ecco il debil fianco
per anni e per natura
vai nel suolo pur anco
fra il danno strascinando e la paura:

né il sì lodato verso
vile cocchio ti appresta,
che te salvi a traverso
de’ trivii dal furor de la tempesta.

 

Sdegnosa anima! prendi
prendi novo consiglio,
se il già canuto intendi
capo sottrarre a più fatal periglio.

 

Congiunti tu non hai,
non amiche, non ville,
che te far possan mai
nell’urna del favor preporre a mille.

 

Dunque per l’erte scale
arrampica qual puoi;
e fa gli atrj e le sale
ogni giorno ulular de’ pianti tuoi.

 

O non cessar di porte
fra lo stuol de’ clienti,
abbracciando le porte
de gl’imi, che comandano ai potenti;

 

E lor mercè penètra
ne’ recessi de’ grandi;
e sopra la lor tetra
noja le facezie e le novelle spandi.

 

O, se tu sai, più astuto
i cupi sentier trova
colà dove nel muto
aere il destin de’ popoli si cova;

 

e fingendo nova esca
al pubblico guadagno,
l’onda sommovi, e pesca
insidioso nel turbato stagno.

 

Ma chi giammai potria
guarir tua mente illusa,

o trar per altra via
te ostinato amator de la tua Musa?

 

Lasciala: o, pari a vile
mima, il pudore insulti,
dilettando scurrile
i bassi genj dietro al fasto occulti”.

 

Mia bile, al fin costretta
già troppo, dal profondo
petto rompendo, getta
impetuosa gli argini; e rispondo:

 

“Chi sei tu, che sostenti
a me questo vetusto
pondo, e l’animo tenti
prostrarmi a terra? Umano sei, non giusto.

 

Buon cittadino, al segno
dove natura e i primi
casi ordinàr, lo ingegno
guida così, che lui la patria estimi.

 

Quando poi d’età carco
il bisogno lo stringe, chiede opportuno e parco
con fronte liberal, che l’alma pinge.

 

E se i duri mortali
a lui voltano il tergo,
ei si fa, contro ai mali,
della costanza sua scudo ed usbergo.

 

Nè si abbassa per duolo,
nè s’alza per orgoglio”.
E ciò dicendo, solo
lascio il mio appoggio; e bieco indi mi toglio.

 

Così, grato ai soccorsi,
ho il consiglio a dispetto;
e privo di rimorsi,
col dubitante piè torno al mio tetto.

 

Giuseppe Parini

°°°°°
LA FALO

Kiam de la ĉielo
kliniĝas Oriono
versante per sitelo
pluvon al ter’ en griza monotono,

min en sezon’ kolera,
dum lame mi rapidas,
tra koto kaj danĝera
kuro de veturiloj urbo vidas;

kaj pro stumbliga ŝtono
inter aliaj fora
aŭ pro ŝlima perono
survoje falas ofte mi dolora.

Ridas knabeto; poste
forfalas larmo-guto:
li vidas, ke ĝisoste
menton’ vundiĝis, kruro aŭ kubuto.

Iu rapidas: “Ho vi,
malfeliĉa poeto,
devus pli bonan trovi
sorton!”, kaj min subtenas kun diskreto,

el brak’ farante zonon,
min de tero starigas,
ĉapelon kaj bastonon
senutilan disantajn kunarigas:

“Vin riĉa urbanaro
laŭdas, ĉar via digno
estos al vi remparo
kontraŭ la temp’, ho neperea cigno,

kaj tede vin incitas
ĉar “Tago”-finon frandas,
pro kiu, se vizitas
fremdul’ la urbon, li pri vi demandas.

Jen tamen la piedon
vi pro aĝo malforta
trenadas, kaj rimedon
ne havas vi, mizere malkomforta;

kaj la laŭdata plumo
havigi eĉ ne povas
kaleŝon en mallumo
vespera, dum tempest’ kruele blovas.

Sendependul’! Mi diras:
ne taŭgas ĉi ideo
se vi savi deziras
la blankan kapon de fatalpereo.

Parencojn vi ne havas,
vilaon, amatinon,
kies allogoj gravas
por al vi tiri de l’ favor’ destinon.

Do la krutajn ŝtuparojn
surgrimpu vi laŭpove:
ĵetu lamentajn knarojn
tra l’ antaŭĉambroj kaj salonoj blove.

Vin metu en vicordojn,
trudu viajn postulojn
kisaĉante la pordojn
de lakeoj estrantaj potenculojn;

dank’ al ili penetru
en riĉul-buduarojn
kaj el gaja paletro
ŝminku ties ted-grizon kaj bizarojn.

Aŭ trovi ruzajn povas
vi trairejojn kaŝe,
kie granduloj kovas
popoldestinon kaj ĝin teksas maŝe:

babilante pri nova
gajnofonto publika,
akvojn movigu, ŝovu
manon, kaj ĉerpu el kotaĵ’ implika.

Sed kiu ja kapablus
sanigi vian menson
aŭ alie probablus
treni de Muz-amant’ obstinan penson?

Muzon lasu: simile
al dancistin’ malĉasta,
ŝi pudoron facile
insultu per tiklad’ al riĉo kasta”.

Tro incitita galo
el mia brust’ elrompas,
ŝaŭmas tra digo-falo
torent-impete; kaj respond’ aplombas:

“Kia vi, subtenanta
korpon de mi maljuna,
kaj animon trenanta
teren? Ne justa, vi, nur oportuna.

La bona civitano
al sia cel’ boatu
laŭ sorto-akompano
tiel, ke lin patrujo plene ŝatu.

Se l’ maljunan poeton
jam urĝas la bezono,
diskretan helpo-peton
li faras, kun lojala kor’ kaj tono.

Kaj se kruelaj homoj
lin froste preterpasas,
kontraŭ malbon-fantomoj
per firma konstantec’ li sin kirasas.

Dolor’ lin ne frakasas,
fiero ne altigas”.
Tion dirinte, lasas
mi lin abrupte, nek li min haltigas.

Tiel helpon akceptas
mi danke, ne konsilon;
konscienc’ ne min korektas,
mi lame celas mian hejm-azilon.

Giusepe Parini, trad. Clelia Conterno Guglielminetti
(“Itala Antologio”, COEDES/ FEI, Milano 1987, p. 271-275)

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