Luoghi

Camaldoli

L’Eremo di Camaldoli, situato amministrativamente nel Comune di Ponte a Poppi

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(Casentino, provincia di Arezzo, Toscana: il nome è la contrazione di Campus Malduli, una radura nella foresta casentinese donata da un certo Maldulus) non fu né il primo né l’ultimo di quelli in cui visse il ravennate San Romualdo (circa 951 – 1027)

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Ma fu senz’altro il più importante, tanto che da esso prende nome la congregazione (Camaldolesi) fondata per ricondurre i benedettini all’antico rigore.

Prima di Camaldoli, Romualdo aveva fondato un’altra comunità eremitica, a Verghereto

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(la località dove nascono i fiumi di Roma – Tevere, di Cesena – Savio e di Rimini – Marecchia),

ma la sua austerità era così insopportabile che era stato cacciato a vergate (pare che il nome della località derivi proprio da questo episodio).

Per la verità, la Regola di Camaldoli non è meno rigorosa, come può vedersi dall’articolo che trascrivo, in Esperanto (dalla trasmissione di Radio Roma del 26 febbraio 1978 e da “Espero katolika” 1979-7/8, p. 125-126

www.esperokatolika.org/ek19761980/ek1979_078.htm#4 )

con retroversione in italiano.

Preciso che il complesso di Camaldoli comprende un Eremo (destinato all’assoluto raccoglimento personale dei monaci) ed un Monastero, sorto pochi decenni dopo, in cui monaci dello stesso ordine seguono uno stile di vita in parte diverso, con una maggiore vita comunitaria (lì hanno spesso luogo anche convegni religiosi di laici, ed è possibile passare le vacanze in un ambiente spirituale).

Allego il francobollo italiano del 2013 per il millennio dell’Eremo di Camaldoli, su bozzetto di Antonio Ciaburro.


 

Segue traduzione in italiano

 

LA ALLOGO DE CAMALDOLI

Spiritaj izoliĝoj iom post iom fariĝas unu el la plej ŝatataj kaj aprecataj formoj de «turismo de l’ animo». Temas, sendube, pri karakteriza fenomeno de la nuntempo: la vera problemo de la hodiaŭa homo estas ĝuste la malfacilo izoliĝi, koncentriĝi, mediti.

Camaldoli (elparolu: «Kamàldoli»), en la centritala regiono Toskanio, aspektas kiel oazo en la halucina dezerto de la turismaj lokoj, plenaj de motoroj kaj de hasta hom-penado.

Kiu alvenas tien unuafoje, havas la impreson troviĝi en sorĉa lando, kaj estas tentata komenti, ke tre ofte monaĥoj elektas la plej belajn lokojn por siaj monaĥejoj.

La plej grava parto de la tutaĵo estas la Ermitejo, je 1100-metra alteco, meze de eksterordinara naturmedio. Sankta Romualdo, fondinto de la ordeno de kamaldulanoj, en 1012 konstruis 5 kabanojn por si kaj por aliaj ermitoj, sur iu tereno donacita de iu grafo Maldulus. De tiam, la ĉeloj iĝis 20. La monaĥoj vivas izolite, en dometoj ĉirkaŭataj de muro, en kvin vicoj dividitaj de malgrandaj paralelaj aleoj. Ĉiu dometo konsistas el dormoĉambro, malgranda studoĉambro, kapeleto, lignodeponejo kaj legomĝardeno; kelkaj ĉeloj havas historian valoron.

La Ermitejon de Camaldoli oni povas atingi laŭ multai vojoj, kaj dum somero la placo antaŭ la gastodomo estas plenplena je aŭtomobiloj. Kelkaj alvenas per la polva kaj kruta strateto, kiu supreniras el la malgranda vilaĝo; aliaj laŭiras la pli komfortan asfaltitan straton el la alia flanko; aliaj trairas la densan arbaron, kiu estas unu el la plej antikvaj kaj sugestiaj en Eŭropo.

Alvenas homoj ĉiuaĝaj kaj de ĉiuj sociaj niveloj: strangaj vestoj, neprizorgataj barboj, longaj haroj, montras ĉi tie nek falsan ekstravagancon nek senfruktan ribelon kontraŭ la socio, sed nur la deziron de tio, kio vere gravas kaj estas esenca.

La prioro akceptas ĉiun pilgrimanton per rideto kaj per alparolo, kiu senmitigas la tradiciajn ŝablonaĵojn pri la vivo de la kamaldulanoj (kiuj pretigas al si ĉiutage sian tombon, kiuj neniam parolas, kiuj reciproke sin salutas dirante: «memoru, frato, ke vi devas morti!»).

La Ermitejo estas loko, kie oni renkontu Dion. Kiu alvenas tien, devas alfronti Lin. Kaj dum somero ĉiuj ĉeloj estas okupitaj, ankaŭ per eksterordinaraj litoj, fare de multnombraj junuloj, kiuj sopiras al la kredo. La monaĥa vivo (izolita preĝo kaj laboro, kaj komuna manĝo kaj liturgio) iĝas simpla kaj natura lernejo: la monaĥoj volonte interparolas kun tiuj, kiuj unuope aŭ grupe demandas, kiel ankoraŭ oni povas kredi, kiun valoron havas la preĝo, kiel oni povas ŝanĝi ĉi tiun absurdan kaj kruelan mondon. Naskiĝas longaj intensaj dialogoj, en kiuj la sperto de silento kaj preĝado proponas solvojn ŝajne facilajn sed efektive kontraŭajn al la ordinara logiko. Tamen, tre probable la saĝuloj estas ĝuste ĉi tiuj ermitoj, ne la homoj de tiu mondo, kiu ne kapablas solvi la nuntempajn problemojn.

Velia Corsini, trad. Antonio De Salvo

(Radio Roma-Esperanto 26.2.1978; “Espero Katolika” 7-8/1979, p. 125-126)

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IL FASCINO DI CAMALDOLI

I ritiri spirituali un po’ alla volta diventano una delle forme più amate e apprezzate di «turismo dell’anima». Si tratta, senza dubbio, di un fenomeno caratteristico del nostro tempo: il vero problema dell’uomo d’oggi è proprio la difficoltà di isolarsi, concentrarsi, meditare.

Camaldoli, nella regione Toscana in Italia centrale, appare come un’oasi nel deserto allucinante delle località turistiche, piene di motori e di frettolosa fatica umana.

Chi arriva qui per la prima volta ha l’impressione di trovarsi in una terra incantata, ed è tentato di commentare che molto spesso i monaci scelgono i posti più belli per i loro monasteri.

La parte più importante del complesso è l’Eremo, a 1100 metri di altezza, al centro di uno straordinario ambiente naturale. San Romualdo, fondatore dell’ordine dei camaldolesi, nel 1012 costruì 5 capanne per sé e per altri eremiti, sul terreno donato da un certo conte Maldulus. Da allora, le celle divennero 20. I monaci vivono isolati, in casette circondate da un muro, su 5 file divise da piccoli viali paralleli. Ogni casetta si compone di una camera da letto, un piccolo studio, una cappellina, una legnaia e un orto; alcune celle hanno valore storico.

Si può raggiungere l’Eremo di Camaldoli per molte strade, e in estate la piazza davanti alla foresteria è zeppa di automobili. Alcuni arrivano dalla polverosa ripida stradina che sale dal piccolo villaggio; altri percorrono la più confortevole strada asfaltata dall’altro lato; altri attraversano la fitta foresta, che è una delle più antiche e suggestive d’Europa.

Arrivano persone ogni giorno e di ogni livello sociale: abiti strani, barbe incolte, capelli lunghi, mostrano qui né una falsa stravaganza né una sterile ribellione contro la società, ma solo il desiderio di ciò che davvero conta ed è essenziale.

Il priore accoglie ogni pellegrino con un sorriso ed una parola, che smitizza il tradizionale luogo comune sulla vita dei camaldolesi (che ogni giorno si preparano la tomba, che non parlano mai, che si salutano dicendosi a vicenda: «ricordati, fratello, che devi morire!»).

L’Eremo è un luogo dove incontrare Dio. Chi arriva lì, deve affrontarlo. E in estate tutte le celle sono occupate, anche con letti supplementari, da molti giovani che hanno sete di fede. La vita monacale (preghiera isolata e lavoro, e pasti e liturgia in comune) diventa una scuola semplice e naturale: i monaci parlano volentieri con chi, singolarmente o in gruppo, domanda che valore abbia la preghiera, come è possibile cambiare questo mondo assurdo e crudele. Nascono lunghi intensi dialoghi, nei quali l’esperienza del silenzio e della preghiera offre soluzioni in apparenza facili, ma in realtà contrarie alla logica comune. Tuttavia, molto probabilmente i saggi sono proprio questi eremiti, non gli uomini di quel mondo che non è capace di risolvere i problemi d’oggi.

Velia Corsini, trad. ADS

(Radio Roma-Esperanto 26.2.1978; “Espero Katolika” 7-8/1979, p. 125-126)

 

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