Personaggi

La vispa Teresa

La vispa Teresa

avea tra l’erbetta

a volo sorpresa

gentil farfalletta…

 

Alzino la mano gli italiani non più giovani che, almeno una volta nella vita, non abbiano recitato questa poesia per bambini, in genere creduta di origine popolare, mentre ha un autore: il milanese Luigi Sailer (1825-1885)

it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Sailer

che la scrisse tra il 1850 e il 1858, e la pubblicò nel 1865 con il titolo “La farfalletta”, dedicandola ad una principessina di casa Savoia-Carignano che, a quanto pare, era molto capricciosa.

Il successo fu enorme, ma poco ne venne all’autore sul piano economico, e nulla su quello morale, perché di fatto la poesia divenne subito “di pubblico dominio”.

Nel 1917, il poeta romanesco Carlo Alberto Salustri, noto con lo pseudonimo Trilussa (1871-1950),

www.bitoteko.it/esperanto-vivo/2017/12/21/trilussa/

ne scrisse (in italiano) una continuazione satirica, immaginando come la “vispa” Teresa si sarebbe comportata da grande.

Trascrivo la poesia di Sailer e quella di Trilussa, in italiano e in una delle molte versioni in Esperanto, quella di Renato Corsetti pubblicata su “L’Esperanto” 2010-5, p. 12 (ne esistono diverse varianti dello stesso Corsetti; una autonoma è dovuta a Carlo Sarandrea).

Allego le immagini di quattro francobolli italiani del 1996 con farfalle, su bozzetto di Maria Maddalena Tuccelli.


LA VISPA TERESA

 

La vispa Teresa

avea tra l’erbetta

a volo sorpresa

gentil farfalletta,

e tutta giuliva

stringendola viva

gridava a distesa:

“L’ho presa, l’ho presa!”.

A lei supplicando,

l’afflitta gridò:

“Vivendo, volando

che male ti fò?

Tu sì, mi fai male

stringendomi l’ale.

Deh! Lasciami; anch’io

son figlia di Dio”.

Confusa, pentita

Teresa arrossì.

dischiuse le dita

e quella fuggì.

 

Luigi Sailer

 

 

Se questa è la storia

che sanno a memoria

i bimbi di un anno,

pochissimi sanno

che cosa le avvenne

quand’era ventenne.

Un giorno di festa

la vispa Teresa

uscendo di chiesa

si alzava la vesta

per farsi vedere

le calze chiffonne

che a tutte le donne

fa molto piacere.

Armando, il pittore,

vedendola bella,

le chiese il favore

di far da modella.

Teresa arrossì,

ma disse di sì.

“Verrete?”- “Verrò!”.

“Ma badi, però…”

“Parola d’onore!”

rispose il pittore.

Il giorno seguente,

Armando l’artista,

stringendo furente

la nuova conquista,

gridava a distesa:

“T’ho presa! T’ho presa!”.

A lui supplicando

Teresa gridò:

“Su , su mi fa male

la spina dorsale.

Mi lasci, chè anch’io

son figlia di Dio…

Se ha qualche programma

ne parli alla mamma…”.

A tale minaccia

Armando tremò,

dischiuse le braccia…

ma quella restò.

Perduto l’onore,

sfumata la stima,

la vispa Teresa

più vispa di prima,

per niente pentita,

per niente confusa,

capì che l’amore

non è che una scusa.

Per circa tre lustri

fu cara a parecchi.

Tra giovani e vecchi,

tra oscuri ed illustri,

la vispa Teresa

fu presa e ripresa.

Contenta a giuliva

s’offriva e soffriva.

(La donna che s’offre

se apostrofa l’esse

ha tutto interesse

di dire che soffre).

Ma giunta ai cinquanta,

con l’anima affranta,

col viso un po’ tinto,

col resto un po’ finto,

per torsi d’impaccio

dai prossimi acciacchi,

apriva uno spaccio

di sali e tabacchi.

Un giorno, un cliente,

chiedendo un toscano,

le porse la mano,

così… casualmente.

Teresa la prese,

la strinse e gli chiese:

“Mi vuole sposare?

Farebbe un affare!”.

Ma lui di rimando

rispose: “No, no!…

Vivendo e fumando

che male ti fo?”.

Confusa e pentita

Teresa arrossì.

dischiuse le dita

e quello fuggì.

Ed ora Teresa,

pentita davvero,

non ha che un pensiero:

d’andarsene in chiesa.

Con l’anima stracca,

si siede e stabacca,

offrendo al Signore

gli avanzi di un cuore

che batte la fiacca.

Ma, spesso, fissando

con l’occhio smarrito

la polvere gialla

che resta sul dito,

le pare il detrito

di quella farfalla

che un giorno ghermiva

stringendola viva.

Ed or come allora

Teresa risente

la voce innocente

che prega ed implora:

“Deh, lasciami, anch’io

son figlia di Dio!”.

“Fu proprio un bel caso!”

sospira Teresa,

fiutando la presa

che sale nel naso.

“Se qui non son lesta

mi scappa anche questa!”.

E fiuta e rifiuta,

tossisce e starnuta.

Il naso è una tromba

che squilla e rimbomba

e pare che l’eco

si butti allo spreco…

Tra un fiotto e un rimpianto,

tra un soffio e un eccì,

la vispa Teresa………..

lasciamola lì.

 

Trilussa

 

 

TEREZO, LA SPRITA

 

Terezo, la sprita,

sur bela lilio

ĵus kaptis, subita,

lili-papilion,

kaj ĝoje naiva

ŝi tenis ĝin viva

dum krio ekscita

“Kaptita! Kaptita!”.

Sed ŝin petegante

ĝi diris al ŝi:

“Vivante, flugante,

ĉu vin ĝenas mi?

Vi agas ja fie

Premante min tie!

Ho, lasu sen plio

ĉi-idon de Dio”.

Ne falis en vano

ĉi-verŝo de koro,

ĉar lasis la mano

ĝin flugi al foro.

 

Luigi Sailer

 

 

Jen fama evento.

Ĝin la okcidento

jam konas parkere.

Sed, tamen, ne vere

konatas la posto.

Jen sekvas la vosto.

Terezo, pro vervo

en tago de festo

post teda di-servo

per levo de vesto

montradi silkecajn

la ŝtrumpojn ne timas.

Virinoj kutimas

la gestojn sendecajn.

Armando, pentristo,

ĉar ŝi ŝajnis rozo,

per ega insisto

ŝin volis por pozo.

Terezo ruĝiĝis,

sed tamen aliĝis.

“Vi venos, ĉu ne?”.

“Jes, tamen nur se…”.

“Mi ĵuras je Kristo” –

al ŝi la pentristo.

La tagon morgaŭan

Armando, ŝin umis,

dum ŝi restis laŭa,

li umis, malumis

kaj fine tut-kvita:

“Kaptita! Kaptita!”.

Sed lin petegante

ŝi diris al li:

“Ĉar vi tro fervoras,

la spino doloras!

Ho, lasu sen plio

ĉi-idon de Dio”.

Nun certe konvenus

se hejmen vi venus…

Armando mizera

forpuŝe nun gestis,

ŝin lasis libera,

sed tamen ŝi restis.

Ĉar foris honoro,

kaj mankis estimo

la sprita Terezo

nun spritis sen limo.

Ŝi nun ekkomprenis

tuj kaj por ĉiamo,

ke estas amoro

la oro de amo.

Dum jaro-dekkvino

furoris la ino:

kaptita de uloj:

gravuloj kaj nuloj –

Terezo la sprita

la ade kaptita.

Ŝi preskaŭ abone

sin donis sindone

(se sin ino donas,

por gardi la pacon,

forigas la spacon,

kaj tiam sindonas).

Duone jarcenta,

kun sento turmenta

vizaĝe tre ŝminka

kaj korpe tro ŝinka

ŝi sentis la pikon,

la aĝo-atakon,

kaj luis butikon

por vendi tabakon.

Jen tuŝis kliento,

prenante cigaron,

nur pro akcidento

nun ŝian hararon.

Ŝi tion tre ĝuis

kaj poste, do, pluis:

“Ni iĝu feliĉaj

geedzoj kaj riĉaj”.

Sed li, respondante,

ne-diris al ŝi:

“Vivante, fumante

ĉu vin ĝenas mi?”.

Terezo konfuza

nun iĝis tre ruĝa,

sed li ege ruza

tuj iĝis tre fuĝa.

Kaj ĝuste pro tio

ŝi pentis nun vere

kaj vivis ofere

en la religio.

Tabakon enspiras

kaj dume ŝi diras:

“Jen prenu, sinjoro,

restaĵojn de koro,

se vi nur deziras”.

Sed ofte ŝi vidas

ke en la mankavo

ja restas nun io.

Sur fingro jen flavo,

pensigas pri savo

de la papilio

iame kaptita

kaj tuj malkaptita.

Eĉ nune ŝi aŭdas

tre etan  la voĉon.

Ĝi diras riproĉon

kaj firme mallaŭdas:

“Ho, lasu sen plio

ĉi-idon de Dio”.

“Tre bela okazo”

Terezo nun pensas,

kaj dume ŝi sensas

la ion en la nazo.

“Mi tamen ĉi tion

ne lasos sen plio”.

Ŝi flaras, reflaras,

ŝi tusas, kataras,

la nazo trumpetas,

la bruo impetas

eĥade kaj klare

senlime, senŝpare.

Ĉe flaro kaj pento,

ĉe blovo kaj terno,

Terezon la spritan

renkontos eterno.

 

Luigi Sailer + Trilussa

trad. Renato Corsetti (13.7.2004)

(“L’Esperanto” 2010-2, p. 12)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *