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Linea del Piave

Questo articolo è la continuazione e lo sviluppo di quello del 24 ottobre 2017, in cui ho presentato la disfatta militare italiana di Caporetto/ Kobarid.

Caporetto-Kobarid


Ricordo che nei giorni 24-26 ottobre 1917 le forze armate austro-ungariche e tedesche ruppero le linee italiane sul fronte orientale, costringendo ad una tragica ritrata, in cui andò perduto metà dell’esercito italiano.
Travolto sull’Isonzo e poi sul Tagliamento, l’esercito italiano si attestò disperatamente prima sull’altopiano di Asiago, poi sul Monte Grappa e sulla linea del Piave it.wikipedia.org/wiki/Prima_battaglia_del_Piave
La resistenza iniziò il 9 novembre, e continuò fino al 26 novembre; la lotta riprese il 4 dicembre, e si spense a Natale del 1917, quando l’avversario si rese conto che non si sarebbe potuto spingere oltre il Piave (che in linea d’aria dista meno di 34 chilometri da Venezia).
La resistenza sul Piave è probabilmente la più bella pagina nella storia italiana moderna, non solo e non tanto dal punto di vista militare, ma soprattuto perché allora come mai (prima e dopo) gli italiani, soldati e cittadini, furono uniti nella fermissima volontà di fronteggiare la sventura e di salvare la Patria.
Quella resistenza (opera in gran parte dei giovanissimi “Ragazzi del 1899”) è talmente rimasta nella memoria collettiva italiana, che ancora oggi, ad un secolo di distanza, per esprimere il concetto di “limite estremo da non oltrepassare” in italiano si dice “linea del Piave”.
​È interessante, al solito, vedere come quegli eventi furono giudicati e presentati dalla parte avversa; questo è possibile, consultando il bollettino tedesco (in Esperanto) di informazione sulla guerra “Internacia Bulteno”; trascrivo, sotto, la traduzione in italiano delle pagine che riguardano l’argomento. È del tutto chiaro che le potenze centrali sottovalutavano la capacità di reazione degli italiani, e nella propaganda di guerra tendevano ad esaltare il contributo francese ed inglese.
A distanza di un secolo, dobbiano esprimere la speranza che i conflitti superati e le sofferenze trascorse siano uno stimolo alla pace ed alla solidarietà tra gli uomini e tra le Nazioni.
Da ultimo, una curiosità: forse per evitare fraternizzazioni, i sudditi austriaci di lingua italiani venivano mandati a combattere in Galizia, oggi Polonia (è la regione che comprende Cracovia); in compenso, i polacchi venivano mandati a combattere in Italia; è per questo che il padre di Karol Wojtyła, anche lui di nome Karol, combatté sul Piave, ma sull’altra sponda.
La storia non si fa con i “se”, ma chi sa come sarebbe stata diversa la storia, se Karol Wojtyła padre fosse morto nel 1917 (nel 1920 non sarebbe nato Karol Wojtyła figlio); ma anche come sarebbe stata diversa se la resistenza italiana sul Piave, e la successiva decisiva battaglia di Vittorio Veneto del 1918, non avessero causato il disfacimento dell’Impero Austro-Ungarico (non avremmo avuto un “Papa polacco”, ma un “Papa austriaco”).
Allego:
– il francobollo italiano del 1967 (su bozzetto di Corrado Mancioli) per il cinquantenario della resistenza sul Piave;
– l’immagine del cimitero militare monumentale del Monte Grappa;
– una cartolina (dalla mia collezione personale) di posta militare, spedita il 28 novembre 1917 dalla “Zona di guerra”; incrociando il nome del reggimento (23°) con la cronaca di guerra, risulta che la cartolina fu spedita dalla zona del Monte Tomba (mai nome fu così appropriato!), di cui parla il Bollettino tedesco di marzo 1918;
– un’immagine (da una vecchia cartolina) di genieri austriaci che costruiscono un ponte sul Tagliamento;
– un’immagine del piccolo Karol Wojtyła, con i genitori (da notare la divisa militare e la decorazione del padre).

TRADUZIONI

Dal discorso del cancelliere dell’Impero tedesco Dr conte Georg von Hertling
al Reichstag (Parlamento), il 29 Novembre 1917
La gloriosa penetrazone in profondità degli eserciti alleati in Italia ancor oggi tiene il mondo in grande attenzione. Una cosa grandiosa è stata realizzata lì dalla forza bellica delle truppe tedesche ed austro-ungariche, a seguito del rapido attacco di sfondamento attraverso un inaccessibile territorio montano fino in pianura. L’esercito italiano ha perduto una parte importante della sua provvista di uomini ed almeno la metà di tutto il suo materiale bellico. Ha perduto un territorio che fornisce fruttuosi prodotti; se traducessino tutto il bottino in denaro, potremmmo contare un bottino che assomma a miliardi. Finora non è stato assolutamente possibile accertare il bottino.
L’ulteriore successo delle nostre vittorie dall’Isonzo al Piave è un efficace alleggerimento del nostro fronte occidentale.
(Bollettino internazionale 1918-1, p. 3)

In Italia le attività delle potenze centrali hanno trovato una provvisoria fine vittoriosa. Sul Tagliamento già è stato raggiunto il loro scopo strategico, cioè l’estromissione dell’Italia come attaccante. Sfruttando abilmente la felice situazione, hanno superato il fiume Livenza, non, come l’Intesa vorrebbe volentieri far credere, per infrangersi alla fine contro i molto fortificati bastioni naturali ed il fossato della parte montana e fluviale della cosiddetta linea del Piave, ma per inchiodare così l’esercito italiano in una posizione tale che esso sia privato della pur minima possibilità di riacquistare per sempre la minima libertà di azione. Così vediamo oggi gli italiani ancora sì ostinatamente (perché si tratta di vita o di morte), ma senza speranza e senza probabilità di successo, difendersi lungo la linea del Piave, che ogni giorno di più si dimostra una posizione di difesa di dubbio valore. L’armata Conrad, che da nord-occidente preme su tutto il sistema, ha occupato lentamente ma sicuramente le fortificazione montane italiane una dopo l’altra nel territorio dei Sette Comuni, per vedersi il 5 dicembre in possesso del massiccio del Meletta, situato davanti al Brenta superiore, con Monte Badelecche, Tondarrecar e Castelgomberto ed un bottino di 16.000 uomini, 639 ufficiali, 93 cannoni e 233 mitragliatrici. Ma come se ciò non bastasse, le potenze centrali perfino sulle sponde del basso Piave, così facilmente difendibile, il 9 dicembre hanno potuto impadronirsi della testa di ponte del Sile ed anche di là minacciare la posizione complessiva di tutto l’esercito italiano.
(Bollettino Internazionale 1918-2, p. 49)

Le attività in Italia hanno in questo arco di tempo un significato soltanto locale. Dopo un movimento lungo, forte, di successo per noi, esse, come sul fronte occidentale, sono rimaste nell’ambito di una guerra di trincea. Il 20 dicembre gli italiani ha tentato, in sette furibondi attacchi, di riconquistare le posizioni da poco perdute sulle cime di Asolone, Monte Pertica e Solarolo, ma il successo non è arriso loro. Nel corso delle battaglie intorno al Monte Asolone ed alle posizioni italiane che si saldavano ad occidente, le truppe austro-ungariche hanno catturato 8.500 italiani, tra cui 270 ufficiali. Dal 26 dicembre nella zona di Asiago e del fiume Brenta e sugli altipiani della cima del Tomba sono ripresi i colpi di artiglieria, ai quali è seguito un attacco della fanteria italiana contro il Monte Tomba, che non ha avuto successo per gli spari degli alleati. Nel segmento del Piave di qua e di là di Pederobba tra il Brenta e il Montello e a nord di Vidor la battaglia di artiglieria è continuata con violenza. Il 30, dopo una preparazione di artiglieria e di minamento, i francesi hanno attaccato le posizioni austriache della cima del Tomba, dove sono riusciti a conquistare parti della posizione. I bollettini italiani hanno dato notizia di 1400 o 1500 prigionieri, 7 cannoni e 60 mitragliatrici come bottino di questa impresa. Successivi forti attacchi italiani contro il Monte Asolone e il Monte Pertica non hanno dato risultato, come pure una spinta in avanti nel delta del Piave ed un’altra a sud del Monte Fontana Secca. L’artiglieria inglese ha cannoneggiato il segmento del Piave e la zona a nord del Montello.
(Bollettino Internazionale 1918-3, p. 71)

Un pensiero su “Linea del Piave

  1. Con questa divisa ha combattuto il mio nonno materno (granatiere) con due suoi fratelli rimasti, purtroppo, sulla linea del Piave.

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