Personaggi

Vittorio Imbriani

Il 27 ottobre ricorre la nascita (nel 1840) dello scrittore, giornalista e politico napoletano Vittorio Imbriani (1840-1886)
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​Ebbe una vita breve ma intensa, segnata costantemente da atteggiamenti polemici verso i suoi contemporanei in ogni campo: politico (fu un accanito reazionario, teorico della supremazia totalitaria dello Stato rispetto all’individuo), culturale, letterario, linguistico; nel campo letterario/ linguistco, fu parzialmente “riscoperto” solo agli inizi del novecento, da Benedetto Croce, e solo più di recente (1968) è stato riconosciuto come un precursore dello stile (altrettanto complesso) di Carlo Emilio Gadda
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​(di cui parlerò in altra occasione).
​Studioso della letteratura popolare (anche allo scopo di integrare le culture locali nella nuova realtà unitaria della Nazione), Imbriani raccolse e pubblicò fiabe, canti e novelle orali; ne do un esempio nella novella che trascrivo, nell’originale in italiano e nella traduzione in Esperanto (tratta da “L’Esperanto” 1922-7/8, pagg. 153-154); da notare il nome del traduttore: Bruno Migliorini, che all’epoca aveva solo 26 anni, ma poi sarebbe diventato un celebre linguista
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​(è anche da notare la scelta dell’autore da tradurre, non solo recente – nel 1922, Imbriani era morto da appena 36 anni – ma altresì non ancora di moda).
​Imbriani fu anche un eminente studioso della lingua italiana, per la quale auspicava l’apporto di tutti i dialetti, in contrapposizione a chi sosteneva invece la preminenza del toscano. Scrisse al riguardo: «La lue di voci pellegrine fa l’anime false; ma si falserebbe anche l’animo del Lombardo e del Siciliano, quando gli volessero fare esprimere i propri affetti ed i propri pensieri in un linguaggio, che non è prodotto dalla sua mente, che non risponde alla conformazione del suo cerebro, a’ suoi bisogni morali ed intellettuali. La lingua Italiana, essa sì, vi risponde; perché vi abbiamo tutti collaborato: quindi possiamo e dobbiamo servircene, per esprimere tutto il nostro retaggio comune. Quantunque è poi speciale, municipale, non può bene esprimersi da ciascuno, se non nel suo rispettivo dialetto».
In sostanza, una posizione molto vicina a quella degli esperantisti, che rivendicano la dignità dei dialetti e di ogni lingua, senza supremazia di questo o di quell’idioma.
​Allego un ritratto di Vittorio Imbriani.


IL SOGNO DEI TRE AMICI

​Tre amici arrivarono una sera ad una piccola osteria di campagna e fecero una cena frugale. Poscia, prima di andare a letto, dissero all’oste, che la dimane, prima di ripartire, volevano far colezione. L’oste gli rispose, rinscrescergli molto di doverli prevenre, che la cosa era impossibile; perché, oltre quello che aveva loro dato, non gli avanzava in casa se non un quarto di tacchina, un piccolo panetto ed il vino, che vedevano, nella bottiglia, poco più di un bicchiere. Gli amici si trovarono male. Ma, decisi di consumare quel poco, che vi era, e se non tutti almeno uno mangiare, fissarono, che colui fra di essi, che nella nottata avesse fatto il sogno più bello o più brutto, avcrebbe fatta colezione la dimane e gli altri sarebbero rimasti senza. Così venne combinata la scommessa in presenza dell’oste, che nominarono giudice de’ sogni, che avrebber fatto. E se ne andarono a riposare. Uno di essi, svegliatosi la mattina all’alba e sentendo appetito, andò in cucina; e, preso dall’armadio il pane, la tacchina ed il vino, mangiò e bevve tutto. Alzatisi gli altri, il trovarono con l’oste, che fecero sedere in un vecchio caregone, perché decidesse della qualità e del merito de’ sogni di ciascuno. Il primo narrò, di aver sognato di ascendere in paradiso e di godervi tutti i piaceri della beatitudine, i quali eran tali e tanti, da non potersi da umano labbro raccontare; e concluse non potersi fare un più bel sogno. L’altro disse, d’aver sognato di precipitare nello inferno, sottostandovi a tali e tanti patimenti, e soffrendo tale e tanto spavento, da rimaner tuttora sbigottito. L’oste osservò al primo: «È innegabile, il vostro sogno esser bellissimo». E volgendosi al secondo gli diceva: «È del pari innegabile, il vostro sogno esser orrendo. Ora sentiamo il terzo». Ed il terzo, calmo e ridente, raccontò, che aveva sognato, essere i suoi due poveri compagni morti, assunto l’uno in Paradiso, e precipitato l’altro all’Inferno. Che, pe’ dogmi della nostra santa religione, da que’ luoghi, o ben o male che vi si stia, non si ritorna in questo mondo; e difatti di quanti son partiti per andarvi, nessuno è mai tornato. Persuaso quindi, nessuno de’ due aver più bisogno di colezione, si era alzato; e, credendo di dover partir solo, aveva mangiato quanto vi era e beuto il poco vino avanzato. L’oste rise di cuore dello ingegnoso trovato; e decise, che, per quanto bello il sogno del primo degli ospiti ed orrendo quello del secondo, il più logico era però il terzo: e che non v’era da ridire sul fatto. E condannò i due digiuni a pagar tutta la spesa nella sua locanda. I perdenti trovaron giusta la sentenza e l’accettarono; e, saldato il conto, si licenziarono, proseguendo il viaggio con l’intenzione di fermarsi alla prima taverna per istrada e mangiarvi a sazietà, come fecero.
Vittorio Imbriani

 

LA TRI AMIKOJ.

Tri amikoj alvenis iun vesperon al malgranda kampara gastejo kaj sobre vespermanĝis. Poste, antaŭ ol enlitiĝi, ili diris al la gastiganto, ke la morgaŭon antaŭ ol reforvojaĝi, ili deziris matenmanĝi. La mastro respondis, ke li bedaŭras informi ilin, ke estas neeble; ĉar krom tio kion li donis al ili, nur restas en la domo kvarono da meleagro, malgranda bulko kaj la vino, kiun ili vidas en la botelo, iom pli ol unu glaso.
La amikoj restis iom nekontentaj. Sed decidinte utiligi la malmulton, kiu restis tie kaj, se ne ĉiuj, unu almenaŭ manĝi, ili akordiĝis, ke tiu el ili, kiu dum la nokto faros la plej belan aŭ la plej malbelan sonĝon, matenmanĝos morgaŭe, lasante sen io la aliajn. Tiel oni decidis pri la veto en la ĉeesto de la gastejmastro, kiun ili elektis juĝo de la farotaj sonĝoj. Kaj ili iris ripozi.
Unu el ili, matene vekiĝinte je l’ matenkrepusko kaj sentante apetiton, iris en la kuirejon; kaj depreninte de la ŝranko la panon, la meleagron kaj la vinon, manĝis kaj trinkis ĉion. La aliaj leviĝis kaj lin trovis kun la mastro, kiun ili sidigis en malnovan seĝegon, por ke li decidu pri la kvalito kaj la merito de ĉies sonĝoj.
La unua rakontis, ke li sonĝis supreniri en Paradizon kaj tie ĝui ĉiujn plezurojn de la feliĉegeco, kiuj estis tiaj kaj tiom multaj, ke homa lipo ne povas ilin rakonti; kaj li konkludis, ke pli belan sonĝon estas neeble fari. La alia diris, ke li sonĝis fali en la Inferon, suferante tiajn kaj tiom grandajn dolorojn, tian kaj tiom grandan teruron, ke li estas ankoraŭ konfuzegita.
La gastejmastro rimarkis al la unua: «Neneigeble estas, ke via sonĝo estas belega». Kaj sin turnante al la dua, li diris al li: «Same neneigeble estas, ke via sonĝo estas terura. Nun ni aŭskultu la trian».
Kaj la tria, kvieta kaj ridetanta rakontis, ke li sonĝis ke liaj du malfeliĉaj kunuloj mortis, ĉielakceptita la unua en la Paradizon, malsuprenĵetita la alia en la Inferon. Ke, pro la dogmoj de nia sankta religio, de tiuj lokoj – bone aŭ malbone oni estu tiel – oni ne revenas en tiun ĉi mondon; kaj efektive neniu iam revenis el tiuj, kiuj tien forvojaĝis. Konvinkite do ke neniu plu bezonis matenmanĝon, li leviĝis kaj pensante ke li devos foriri sola, li manĝis kion li trovis kaj trinkis la malmultan vinon, kiu restis…
La mastro kore ridis pri la sprita elpensaĵo kaj decidis ke, kvankam bela la sonĝo de la unua gasto kaj terura tiu de la dua, la plej logika tamen estas la tria: kaj ke la fakto estas nedisputebla. Kaj li kondamnis la du fastistojn pagi la tutan elspezon de la gastejo. La malgajnintoj trovis justa la juĝon kaj ĝin akceptis; kaj, paginte la kalkulon, ili prenis forpermeson daŭrigante la vojaĝon kun la intenco halti ĉe la unua gastejo sur la strato kaj tie plenmanĝi, kiel ili faris.
Esper. Bruno Migliorini
(“L’Esperanto” 1922-7/8, p. 153-154)

 

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